La morte dell’Antifascismo

La morte dell’AntifascismoLa morte dell’Antifascismo – A una settimana dal voto laziale e lombardo, si possono compiere analisi più accorte e riflessive, slegate dalla necessità di celebrare vittorie o nascondere sconfitte.

Del successo del Centrodestra; della sconfitta della Sinistra; della paurosa astensione; almeno qui, se n’è già parlato.

Un dato significativo, invece, pare non essere stato colto da nessuno, pur essendo stato implicitamente amplificato dalle sconce sceneggiare sanremesi: la morte dell’Antifascismo.

E in praticamente tutte le sue dimensioni più perniciose e pratiche.

L’appello sguaiato di Fedez – con tanto di foto e svastiche contro un viceministro -; quelli impliciti a sostegno dei (dis)valori del Centrosinistra nascosti nelle “letterine” fatte leggere da più o meno noti “personaggi tivvù” – (dis)valori messi a rischio dall’esistenza di un governo nuovo.

I soliti allarmi della solita paccottiglia elettorale del Pd e dei suoi alleati: che risultato hanno ottenuto?

L’astensione

Solo quello di vedere il 60% degli italiani non andare a votare.

E non di due regioni piccole piccole, ma delle due più popolose del Paese, dove insistono la Capitale e la “capitale economica”.

Lombardi e laziali hanno avuto così paura che si rafforzasse il “nuovo fascismo” che hanno preferito starsene a casa.

Certo, non saranno stati tutti e solo gli elettori del Pd a disertare le urne; ma una buona parte di quelli che certamente a sinistra avranno votato in passato, dichiarando ora – così, silenziosamente – di non essere più disposti a farlo solo perché “altrimenti arrivano i barbari-fasci!”.

E del 40 per cento che è andato a votare, oltre la metà hanno votato per il Centrodestra; e, in quell’oltre metà del 40%, 6 elettori su 10 votano per il partito di Giorgia Meloni.

Se non tutti a Sinistra sono tanto scemi da andare a votare perché realmente si pensa che in Italia ci sia il rischio di un ritorno della dittatura, dunque, si può facilmente calcolare come non più del 12-15 per cento degli italiani sia affezionato a questo tema.

Fondi pubblici

E ciò, nonostante sull’Antifascismo vengano investite – come presunto valore fondante della Repubblica; come valore identitario della Sinistra; come archetipo primario della storia comune; come slogan elettorale; come tratto distintivo della cultura; come moda della nuova e ricca borghesia – risorse per milioni e milioni, se non per qualche miliardo di euro all’anno.

Per lo più ricavati dalle tasse e per lo più dalle imposte versate da quegli italiani a cui non gliene frega niente se un politico giudica, per esempio, Benito Mussolini con un tono o con delle parole diverse da quelle del vocabolario degli insulti e dalla summa degli anatemi.

Un dato su cui potrebbe riflettere, il nuovo governo, no?

Per indossare a partire da domani l’orbace?

Per andare tutti in camicia nera, al sabato, a saltare cerchi di fuoco?

Per consentire a qualcun altro di farlo o per attentare alle libertà democratiche?

Per carità, ci mancherebbe solo questo, al teatrino della politica nostrana.

Le carnevalate

Se sono scemi politicamente e spesso non solo politicamente coloro che contrabbandano certe carnevalate per autentici pericoli per le istituzioni repubblicane; non meno scemi sono quelli che si travestono da ciò che magari nemmeno sono mai stati – non solo in senso letterale, ma anche lato, con discorsi e ragionamenti d’altre ere -, credendo pure, magari, di “fare politica” in quel modo, col solo risultato di tenere in vita i loro avversari.

Riflettere

No, una riflessione sarebbe doverosa su ben altro piano; quello appunto delle risorse, in particolare pubbliche, che vengono continuamente, anche ora, dilapidate per tenere in vita un cascame della politica e della (pseudo) cultura; nonché sul piano della libertà di pensiero, scollegando una volta per tutte la riflessione storica dalla polemica politica.

Una rivoluzione importante e che permetterebbe all’Italia di ritrovare pienamente e senza condizionamenti interni e internazionali le ragioni profonde della sua identità nazionale.

Certo, per un po’, all’inizio, si dovrebbero sopportare le grida e lo stridore di denti dell’unica pezza del tessuto sociale dove l’Antifascismo è diventato dagli anni ‘70 pane quotidiano – televisioni, giornali, spettacolo, case editrici -, ma, senza più soldi da spartire, quanto fiato rimarrebbe nelle gole di questi soggetti?

E, soprattutto, senza la prospettiva di guadagnarci sopra, quanti di questi soggetti sarebbero ancora disposti a tirarlo fuori, il fiato, per difendere i principi dell’Antifascismo?

Una parte sì, sicuramente, ma la maggioranza – ci si potrebbe scommettere – la si ritroverebbe tutta impegnata a cercare in cantina la foto del nonno alle adunate oceaniche da esibire come biglietto valido per un nuovo e diverso giro di giostra.