La situazione nelle carceri – Intervista a Giovanni Battista Durante, Segretario Generale Aggiunto del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe) – L’Italia si colloca tra i Paesi con gli istituti di pena più affollati dell’Unione europea. Le criticità che si riscontrano sono molteplici. Per meglio comprendere la realtà carceraria, abbiamo ritenuto utile intervistare Giovanni Battista Durante, Segretario Generale Aggiunto Sappe.
Qual è la situazione attuale all’interno delle carceri italiane?
La situazione nelle carceri è di difficile gestione, a causa di alcune riforme fatte negli ultimi anni che hanno destabilizzato il sistema e destrutturato la sicurezza, dagli istituti minorili a quelli per gli adulti, anche se ormai è diventato difficile distinguere adulti e minori, visto che proprio una di queste riforme a cui accennavo consente di tenere nelle carceri minorili persone che hanno raggiunto i 25 anni di età.
La prima di queste riforme a cui facevo cenno è stata l’eliminazione della sanità penitenziaria, che ha ricondotto tutto sotto la gestione delle AUSL, mentre prima i medici lavoravano a contratto con l’Amministrazione penitenziaria ed era una gestione più adeguata, per efficacia ed efficienza.
Adesso, spesso, mancano medici e specialisti. L’altra riguarda la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari che ha riversato nelle carceri quasi tutto il disagio psichiatrico.
Nelle REMS, Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza spesso non c’è posto, abbiamo ormai le liste d’attesa, tanto che i prosciolti o restano in carcere, se erano in custodia cautelare, oppure liberi sul territorio. Di recente la CEDU ha condannato l’Italia, perché un internato è stato tenuto circa due anni in carcere, a Rebibbia, poiché nelle REMS non c’era posto.
Disagio border line
C’è poi tutto quel disagio border line, non tale da far scemare completamente la capacità di intendere e di volere, per cui potrebbero accedere alle REMS, se ci fosse posto, e che deve restare in carcere, mentre prima veniva in parte gestito negli OPG per dei periodi di osservazione e cura.
Le carceri non sono attrezzate perché mancano specialisti e sezioni dedicate a tali soggetti che restano in quelle comuni, con gli altri reclusi. Su questa riforma è intervenuta anche la Corte costituzionale a gennaio scorso, evidenziando la necessità di rivedere la legge, perché il coordinamento delle REMS deve restare in capo al Ministro della giustizia.
Inoltre, la Corte ha chiaramente detto che la situazione attuale non garantisce cure adeguate ai malati e nelle carceri, con loro dentro, non c’è sicurezza adeguata. L’altra riforma riguarda l’apertura delle celle per tutti, senza alcun criterio selettivo e meritocratico, accompagnata dalla vigilanza dinamica, con l’agente fuori dalla sezione che ormai non riesce più a controllare adeguatamente i detenuti.
Così sono aumentati i reati: consumo di droga, uso di telefoni cellulari, aggressioni, ferimenti, colluttazioni. Sono triplicati dal 2014, come ha documentato Milena Gabbanelli, in una recente inchiesta sul Corriere della Sera. E poi c’è la gestione dei tossicodipendenti che dovrebbero avere un percorso diverso, come avviene nel carcere di Rimini, dove sottoscrivono un programma con l’Amministrazione, impegnandosi a non assumere metadone, a lavorare, fare formazione ecc., per poi andare in comunità. Quasi nessuno di loro rientra più in carcere. Questo risultato positivo però sembra non interessare.
Gli ultimi dati del Consiglio d’Europa mostrano che l’Italia è al decimo posto tra i Paesi con il più alto tasso di suicidi in carcere. Vuole commentarci questa triste classifica?
Quanto descritto nella precedente domanda può fornire una risposta anche a questa. È chiaro che se i detenuti restano tutto il giorno ad oziare, a non fare nulla, se vivono in sezioni detentive dove ci sono caos, violenza, ogni rischio aumenta, anche quello suicidario.
Ma il dato più significativo non è tanto quello dei sucidi, aspetto gravissimo sicuramente, perché ogni persona che muore in carcere rappresenta una sconfitta, quanto i tentativi: circa 1600 ogni anno. Se non ci fosse la Polizia Penitenziaria a salvare queste persone, i morti sarebbero circa 1700 ogni anno.
Riguardo al personale della Polizia Penitenziaria, che si trova ad operare in condizioni di sottorganico, quali sono le misure più urgenti da adottare a suo favore?
Bisogna assumere. Facciamo fatica ad assumere per carenze organizzative e di strutture dedicate alla formazione, perché in passato hanno chiuso alcune scuole.
Qualcuno pensava che i poliziotti non servissero in carcere e bisognava ridurli, oggi invece abbiamo un organico previsto di poco più di 42.000 unità (grazie all’ultimo incremento di 1.000 unità fatto con l’ultima legge di Bilancio), ma in servizio ce ne sono circa 37.000.
Quali sono le prossime battaglie che il Sappe intende affrontare per poter migliorare il settore carcerario?
Ci battiamo da tempo per far cambiare quelle riforme a cui facevo riferimento nella prima risposta, quelle che hanno cambiato in peggio il sistema penitenziario.
Adesso c’è molta attesa su questi aspetti, visti anche gli impegni assunti dal Governo sul tema carcere e sul benessere della Polizia Penitenziaria.
Quindi, ulteriore aumento della pianta organica, da portare almeno a 44.000, com’era prima dei tagli della legge Madia; riorganizzazione delle carceri, secondo livelli di sicurezza: massima, media e attenuta; più formazione e formazione più adeguata a un Corpo di polizia moderno, impegnato nella lotta alla criminalità e nell’osservazione dei detenuti; adeguata collocazione dei vertici del Corpo, nell’ambito dell’organizzazione dell’Amministrazione penitenziaria, con pieni poteri nella gestione della sicurezza, in modo che non si verifichino più eventi come le rivolte del 2020