L’eccidio palestinese di Fiumicino. Vittime di una strage minore.
Nella tarda mattinata del 17 dicembre 1973, un gruppo di Palestinesi, appena sbarcati a Fiumicino provenienti da Madrid, armati di bombe, pistole e mitragliette automatiche custodite nelle valigie, dopo aver preso in ostaggio sei poliziotti, irrompevano nella pista dell’aeroporto.
Il Boeing 707 Pan Am
Il primo obbiettivo fu un Boeing 707 della Pan Am, in fase di rullaggio. La scaletta d’imbarco, ancora agganciata alla fusoliera, permise agli uomini di penetrare all’interno dell’aereo e di lanciarvi tre bombe, di cui una o forse due al fosforo bianco, miscela incendiaria letale.
Lo scoppio e le fiamme raggiunsero i serbatoi provocando un incendio a bordo. Inutile l’ordine di evacuazione del comandante pilota. Trentadue passeggeri rimasero uccisi, sia per le esplosioni sia per il soffocamento dovuto al fumo. Tra questi, quattro Italiani: il funzionario dell’Eni Raffaele Narciso e un’intera famiglia, Giuliano De Angelis, la moglie Emma e la piccola Monica, di 9 anni.
Boeing 737 Lufthansa
Ma non era ancora finita. Il gruppo prendeva d’assalto un altro aereo in fase di rullaggio, un Boeing 737 della Lufthansa, diretto a Monaco di Baviera; accanto al velivolo si trovava un militare della Guardia di Finanza, Antonio Zara. Disarmato e intimato ad allontanarsi, veniva freddato con un colpo alla schiena.
L’intero commando, coi sei ostaggi catturati in aeroporto, si rinchiudeva quindi all’interno del 737; alle 13.32 l’aereo coi passeggeri a bordo prendeva il volo, come ordinato dai terroristi, con rotta verso Atene. Le loro richieste avevano come destinatario il governo ellenico e riguardavano la liberazione di alcuni loro compagni palestinesi appartenenti all’organizzazione Settembre Nero, detenuti in Grecia.
il dirottamento
La sosta nell’aeroporto della capitale ellenica durò 16 ore, durante le quali fu ucciso un altro ostaggio, l’italiano Domenico Ippoliti il cui corpo fu gettato sulla pista. I terroristi, di fronte al rifiuto dei due loro compagni in carcere di unirsi a loro, decidevano così di ripartire. Ma né Beirut, né Cipro autorizzarono l’atterraggio. Dopo uno scalo a Damasco per il solo rifornimento, l’aereo riuscì finalmente ad atterrare a Kuwait City.
Qui, dopo lunghe trattative, gli ostaggi furono rilasciati in cambio della libertà dei membri del commando terrorista. Successive negoziazioni diplomatiche portarono alla loro estradizione in Egitto; dopo una breve carcerazione, furono inviati in Tunisia, dove l’OLP li prese in consegna.
Ma un’altra ragione pare essere strettamente legata all’atto terroristico.
Processo a Settembre nero
Quello stesso 17 settembre iniziava a Roma il processo contro cinque appartenenti a Settembre Nero, arrestati mesi prima a Ostia perché trovati in possesso di missili terra-aria Strela, di fabbricazione sovietica. Secondo quanto emerse all’epoca, sia pur mai compiutamente accertato, il bersaglio dei razzi avrebbe dovuto essere un aereo della compagnia israeliana El-Al, mentre si trovava in volo con a bordo il primo ministro Golda Meir. Anche quei cinque patirono una brevissima detenzione. Gli ultimi tre rimasti in carcere furono infatti liberati poco tempo dopo i fatti del 17 dicembre.
Lodo Moro
La strage di Fiumicino fu, secondo una ricostruzione ormai consolidata – ma che la magistratura scarlatta si ostina a non riconoscere – la ragione che spinse il nostro governo a siglare con il FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, un’organizzazione filocomunista aderente all’OLP) un patto segreto, chiamato “Lodo Moro” poiché voluto dall’allora ministro degli Esteri del governo Rumor. L’accordo avrebbe tenuto in salvo il nostro territorio da attentati in cambio del libero passaggio in Italia di armi, ordigni e uomini dell’organizzazione palestinese, con la garanzia della loro impunità.
Patto violato
Il patto sarebbe stato poi violato dall’Italia a seguito dell’arresto e del processo contro il giordano Abu Sayed, uomo del FPLP residente a Bologna e altri complici, appartenenti al collettivo romano di via dei Volsci, arrestati a Ortona nel novembre 1979 poiché sorpresi dai carabinieri mentre trasportavano missili terra-aria Strela 2.
Minacce del FPLP e Bologna
Ciò che portò l’allora responsabile del SISMI a Beirut, quartier generale della resistenza palestinese, colonnello Giovannone, a inviare ripetuti messaggi a Roma avvertendo delle minacce del FPLP – siamo nella primavera del 1980, in prossimità della strage del 2 agosto – per la mancata liberazione del loro uomo. Messaggi rimasti nel cassetto per oltre quarant’anni ma il cui contenuto è stato finalmente divulgato e che, una volta desecretati, consentirebbero una ben diversa lettura processuale della strage di Bologna.
Dimenticati dallo Stato
Dell’eccidio di Fiumicino, dove persero la vita 34 persone, a differenza degli altri atti terroristici che insanguinarono il nostro paese per lunghi anni, si sente parlare poco e, soprattutto, non è oggetto di commemorazioni da parte delle autorità dello Stato.
La ragione è di tutta evidenza. È un episodio che va dimenticato, poiché ricordarlo significherebbe aprire scenari scomodi per chi – in maniera trasversale, per interesse o convenienza o viltà – tiene in ostaggio una nazione e una pubblica opinione con teoremi prefabbricati, costruiti con un’interpretazione delle vicende italiane in chiave ideologica.
L’attuale sistema di potere non può fare a meno della menzogna, che è – ed è stato – il suo nutrimento e il torbido collante delle sue tremebonde istituzioni; finché gli Italiani non faranno i conti con la propria storia, nessuna possibilità di riscatto darà possibile. La libertà non può nascere senza verità.