La sentenza definitiva di condanna che colpisce Paolo Bellini, agli occhi di chi ha seguito con costanza e attenzione la vicenda processuale legata alla strage di Bologna, rappresenta il non plus ultra di un sistema giudiziario ispirato all’ignavia, cioè, all’incapacità cosciente di perseguire la verità e il bene. Basti pensare al fatto che si fonda, fin dall’inizio, su una conclamata e spudorata menzogna: l’appartenenza dell’imputato ad Avanguardia nazionale.
Per altro, all’uomo Bellini questo verdetto si attaglia come il vestito della festa. Fu lui stesso a millantare – per potersi accreditare come credibile pentito di ‘ndrangheta – l’assassinio di Alceste Campanile, non capendo come, la stessa magistratura che gli chiese di fare quel passo per risolversi altro genere di problemi investigativi, dopo averlo spremuto sul fronte della criminalità organizzata, lo avrebbe stritolato anche su quello della violenza politica.
In altre parole, ha confessato un omicidio non commesso, senza subirne le conseguenze, per mettersi al servizio di chi una pena ora gliel’ha inflitta, per una strage che non lo riguardava.
Ciò detto, l’esultanza di Elly Schlein e della Sinistra per questo esito processuale dimostra solo l’idiozia e la superficialità di quella “capetta” e del partito che la sopporta come tale. A cosa serve, infatti, strillare che “la strage è fascista”, se non c’è più nessuno a contestare questa interpretazione politica e strumentale dei più gravi attentati degli anni di piombo?
Da tempo, Giorgia Meloni ha compiuto l’ennesimo cambio di rotta – e dei soliti 180° – e anche sul terrorismo che ha insanguinato gli anni ’70 e ’80 oggi parla ed esprime commenti del tutto in linea con la “vulgata”. Chiederle pubblicamente di ammettere questo o quello, contrariamente a quanto credono nelle stanze del Nazareno e in certi tribunali, significa solo servirle degli assist per segnare nuovi punti e permetterle di “accentrarsi” sempre di più, slegandosi dalla storia stessa che l’ha partorita e fatta crescere.
Di più: sollecitare da sinistra la Meloni su questi temi, è funzionale solo al suo progetto di essere “sempre più e sempre solo Giorgia” – la quale si vende come donna capace di guidare il Paese, senza guardare in faccia e senza fare sconti a nessuno, nemmeno ai suoi “padri” putativi – e sempre meno Fratelli d’Italia, sempre meno partito, sempre meno espressione di una comunità umana e militante, sempre più fenomeno unico e irripetibile nel desolante panorama politico italiano.
Se “Giorgia-e-basta” sfilerà a Bologna, il prossimo 2 agosto – e ci sono trattative in corso, per realizzare questo “evento” -, forse la Schlein si accorgerà di non aver vinto nulla, né in termini politici e men che meno morali, ma di essersi fatta scippare anche quella scena che, inevitabilmente, verrebbe dominata da quell’inedita presenza.
Una presenza che avrebbe lo stesso valore dell’assenza, però, dal momento che la sostanziale e reale credibilità di un gesto del genere andrebbe misurata sulla base del fatto che sarebbe compiuto da chi, con la stessa disinvoltura, ha professato fino all’altro ieri convinzioni diverse. E non è detto, quindi, che, all’occorrenza, non sarebbe disposto a cambiarle ancora. Insomma, sono tutte “messe”, a cui si va per conquistare le rispettive “Parigi”, non certo per corrispondere a chissà quali moti dell’anima.
I primi a esultare, per tutto ciò, saranno proprio quegli ex-missini che ancora la contornano, vuoi – nei casi peggiori – perché attaccati alle poltrone che mai avrebbero sperato di poter occupare, vuoi perché ricattati dalla leader – a causa dei loro precedenti comportamenti nostalgici, estremistici, irragionevolmente faziosi sui gran di temi storici e politici del Paese -, di cui potrebbero sempre essere chiamati a rispondere, dopo un articolo di giornale o un attacco televisivo ad hoc, da Colei che tiene saldamente in mano le chiavi di ogni rielezione.
La Schlein esulta, come certi i tifosi di questa o quella curva, per il momentaneo goal; mentre “Giorgia la fuoriclasse”, come certi professionisti pallonari, dopo essersi battuta più volte il petto sullo scudettino, per dimostrare il suo attaccamento alla maglia, è già pronta a firmare il nuovo contratto per una “squadra” che paga di più e meglio e garantisce pure di giocare le coppe internazionali.
In questo desolante scenario, ciò che rende ancor più amara la situazione, è la consapevolezza che, al prossimo cambio di governo, fra pochi anni o anche dopo un secondo giro, poco importa, le stesse persone che oggi giurano di aver accettato certe conclusioni dei magistrati, torneranno a contestarle, per avere un po’ di attenzioni dalla stampa e per chiamare a raccolta gli accoliti. E non perché all’opposizione si sentano liberi di dire, questi politici che è quasi schifoso definire “di destra”, ciò che il peso del governo impedisce anche solo di pronunciare; ma solo perché avranno la necessità di sfruttare qualsiasi occasione di polemica per mettersi in luce e conquistare qualche preferenza.
La prova e controprova di questo ragionamento, pensando alla posizione che Fratelli d’Italia aveva sostenuto, fino a pochi anni, se non mesi, sullo stragismo e gli anni di piombo, è il sentir parlare, oggi, di rispetto per le sentenze definitive emesse a Bologna e a Roma; come se non sapessero, questi fini giuristi e accorti legislatori, che la sentenza-madre che ha stabilito che la strage di Bologna sarebbe stata una strage fascista compirà esattamente 30 anni, il prossimo 23 novembre. E se non erano e non sono stati ritenuti credibili i verdetti contro Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, qualcuno dovrebbe avere la decenza di spiegare perché riterrebbe incontestabili gli esiti di due processi, quello a Gilberto Cavallini e Paolo Bellini, in cui si sono manifestati, semmai, tutti i gravissimi difetti e limiti del nostro sistema giudiziario.
Sempre che Giorgia Meloni, Ignazio La Russa, Galeazzo Bignami, Federico Mollicone, Adolfo Urso e via dicendo non intendano negare di aver sempre e ad alta voce protestato, fino almeno a tutto il 2021, l’innocenza di quei condannati.