Un lavoro di missione troppo spesso dato per scontato. mancano all’appello 65mila professionisti e il sistema non regge più
Nel nostro sistema sanitario, 400mila infermieri portano sulle spalle gran parte del carico dell’assistenza, eppure ne mancano almeno 65mila.
A dirlo non è solo il
Ministero della Salute, ma anche i reparti al collasso, i turni massacranti, i pazienti che aspettano e i professionisti che lasciano il mestiere.
O meglio: la missione. Perché questo è, da sempre, il lavoro dell’infermiere.
Un impegno quotidiano che richiede competenze, prontezza, empatia, capacità tecniche e soprattutto umanità.
Sono loro i primi a vedere il dolore, spesso gli ultimi a lasciarlo.
Eppure, in Italia, continuiamo a considerarli una “figura di supporto” invece che riconoscerli come professionisti autonomi.
In tanti casi, la qualità del loro operato supera quella del medico, ma il sistema e la politica non glielo riconoscono.
Mentre chi lavora senza adeguata
professionalità, nei pochi casi in cui accade, danneggia un’intera categoria, lasciata troppo spesso sola e senza tutele.
La verità è che il sistema ha bisogno di una rivoluzione culturale: il paziente non è un cliente, non è un numero, ma una persona da considerare nella sua interezza.
Oggi invece lo si tratta come una “domanda” cui rispondere nel minor tempo e costo possibile. Le cure si devono sì somministrare, ma prima ancora si devono prevenire.
E allo stesso modo si deve prevenire la mancanza di
personale e di formazione,
senza pensare che “risparmiare” significhi tagliare ciò che garantisce la vita.
I governi degli ultimi anni hanno chiesto alla sanità solo una cosa: contenere i costi. Ma a che prezzo? Liste d’attesa infinite, professionisti esausti, dimissioni anticipate, ospedali in emergenza perenne.
Oggi Schillaci lo dice chiaramente: gli infermieri sono centrali, soprattutto in una Nazione che invecchia. Ma le parole non bastano. Servono assunzioni, formazione continua, stipendi adeguati, percorsi di carriera.
E serve rispetto.
Perché in fondo, ogni volta che ringraziamo un medico, spesso dovremmo prima ringraziare l’infermiere di turno.
E A BOLOGNA?
Anche nella nostra città la situazione non è diversa. All’ospedale Maggiore, al Sant’Orsola e Bellaria e nelle strutture territoriali si registrano turni scoperti, infermieristica privata in aumento e un senso di frustrazione crescente tra i professionisti.
L’Ordine delle Professioni infermieristiche di Bologna parla di “crisi strutturale”, aggravata da pensionamenti e scarse nuove assunzioni.
Intanto, si moltiplicano gli incarichi temporanei e le cooperative, spesso con condizioni meno tutelanti. In Emilia-Romagna il numero di infermieri è inferiore alla media UE, mentre la popolazione over 65 cresce.
Chi si prenderà cura di noi se non ci saranno più infermieri?
Forse è tempo di scegliere: o continuare a tagliare, o iniziare a prevenire davvero, per curare meglio.
Hai vissuto esperienze simili a Bologna o conosci infermieri che vogliono raccontare?
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