Tre morti e quattordici feriti: è il bilancio della sparatoria avvenuta nella Annunciation Catholic School e Church di Minneapolis. Un giovane di 23 anni, armato fino ai denti, ha fatto irruzione durante la funzione mattutina, aprendo il fuoco contro bambini e fedeli. Un gesto folle che l’FBI indaga come terrorismo domestico e crimine d’odio anti-cattolico. Non un episodio isolato, ma l’ennesimo sintomo di un malessere sociale che monta sotto la superficie di un’America sempre più divisa.
Molti si affrettano a minimizzare, a parlare solo di follia individuale. Ma c’è un contesto che non può essere ignorato. L’attentatore ha lasciato dietro di sé parole intrise di rancore verso la religione e i valori tradizionali, un livore che non nasce dal nulla.
Da anni, la cultura “woke” predica inclusione e accoglienza, ma nei fatti alimenta una narrazione che dipinge i cattolici e i difensori delle tradizioni come nemici da abbattere, retrogradi da cancellare. Un’ideologia che pretende di essere balsamo e invece avvelena, che promette armonia e invece semina fratture.
Non è un caso che tanti giovani, spaesati e fragili, finiscano risucchiati in un clima di confusione identitaria e di odio verso tutto ciò che rappresenta radici e stabilità. In questo brodo culturale nasce la violenza: non da un vuoto, ma da una predicazione continua che mette in contrapposizione “vecchio” e “nuovo”, tradizione e modernità, fede e libertà individuale assoluta.
La tragedia di Minneapolis dovrebbe insegnarci che non basta ripetere slogan sull’inclusione per costruire una società più giusta. Quando si distruggono i punti di riferimento collettivi e si delegittima chi li custodisce, non si genera libertà, ma rancore.
E il rancore, prima o poi, esplode.
Gianluca Mingardi
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