Sventolano drappi azzurri mentre il mare affoga nel silenzio
Ci prendono per il naso e lo fanno col sorriso, come se bastasse issare un drappo azzurro per cancellare scarichi fognari, cementificazioni,
speculazioni e spiagge privatizzate.
L’Italia celebra le sue 246 Bandiere Blu come fosse la Coppa del Mondo dell’ambiente, ma dietro al marketing patinato resta la solita cartolina truccata: mare sporco a intermittenza, lidi pubblici in via d’estinzione,
ecosistemi devastati da decenni di incuria. Sul podio svettano Liguria, Puglia e Calabria, come se fossero oasi sostenibili. Ma in Puglia intere coste sono colonizzate da stabilimenti balneari che lasciano ai cittadini pochi metri, quando va bene.
In Calabria è un’impresa trovare un accesso libero al mare che non sia nascosto dietro palazzine abusive o cumuli di rifiuti. In Liguria la costa è un catalogo di prenotazioni obbligatorie,
dove il diritto al mare è diventato un lusso stagionale, tariffato a ombrellone.
Il paradosso? Queste stesse regioni sono celebrate come esempio di virtù ambientale, mentre tutto crolla. Sotto la sabbia – quella delle “spiagge top” – trovi la plastica, il cemento, le reti, i divieti d’accesso. L’acqua? Pulita solo quando passano a controllare. I depuratori? Funzionanti a giorni alterni. Gli sversamenti abusivi? Ordinaria amministrazione. Ma tanto basta rifare la passeggiata, mettere due cartelli “green”, offrire un aperitivo biologico e attivare la Wi-Fi gratuita, e il bollino arriva puntuale.
Ogni anno il siparietto si ripete: titoli trionfali, comunicati stampa, politici in posa davanti a un pezzo di stoffa blu. Nessuno che osi chiedere su quali criteri vengano assegnate queste benedette Bandiere.
La qualità delle acque? Basata su campionature locali, spesso segnalate dagli stessi comuni. La gestione dei rifiuti? Tradotto: scomparire i sacchi in tempo per l’ispezione.
L’educazione ambientale? Basta un cartellone informativo appiccicato a un chiosco con stoviglie monouso e il gioco è fatto.
Questa è la grande bugia verde del nostro tempo: raccontarci che basta una bandiera colorata per sentirci virtuosi. È greenwashing di Stato, con tanto di timbro ufficiale Intanto nessuno parla di erosione costiera, di concessioni balneari inchiodate da decenni nelle stesse mani a prezzi ridicoli, di spiagge pubbliche che ogni estate scompaiono un metro alla volta sotto la spinta della privatizzazione selvaggia.
La costa italiana non ha bisogno di premi di consolazione, ha bisogno di politiche serie. Ha bisogno di una visione che non confonda il turismo
con la speculazione, né l’accoglienza con la svendita.
Le Bandiere Blu, oggi, sono solo una vernice blu stesa su un mare malato, una foglia di fico fluttuante che nasconde più che raccontare.
E la cosa più grave è che ci stiamo abituando. Allo scempio. Alla presa in giro. Alla favola. Ci facciamo andare bene la menzogna rassicurante, perché la verità ci costa troppo. Ma intanto il mare affoga davvero.
E con lui affogano la natura, la giustizia, e la nostra dannata dignità.
http://www.bandierablu.org
Conclusione
Anche in Emilia-Romagna sventolano le Bandiere Blu, da Cervia a Cattolica, passando per Riccione, Misano e Bellaria.
Località dove il mare è spesso più scenografia che ecosistema, incorniciato da file infinite di lettini, stabilimenti, clone, movida patinata e fondali che, dopo
un temporale, restituiscono ogni genere di rifiuto.
La costa adriatica emiliano-romagnola ha fatto del turismo balneare un’industria organizzata al millimetro, ma questo non basta a nascondere l’erosione costiera, l’artificializzazione spinta e il progressivo svuotamento del concetto di spiaggia pubblica.
Qui il mare è ordinato, ma anche addomesticato, piegato al modello del profitto stagionale.
Anche qui, la Bandiera Blu diventa il tappeto sotto cui si spazzano decenni di compromessi ambientali.
L’Adriatico non ha bisogno di premi: ha bisogno di respiro, di tutela vera, di una politica che non si limiti a lucidare la vetrina. Altrimenti, più che eccellenze turistiche, continueremo a sfornare cartoline da un futuro sommerso.