Si è votato a Ravenna, mentre a Bologna sono iniziate la “grandi manovre” per individuare uno sfidante da opporre, nel 2027, a Matteo Lepore.
Il dato di Ravenna è impietoso, per il Centrodestra. A fatica raggiunge il 25% dei consensi, pur essendosi pure spaccato in una miriade di liste e listarelle.
Non che l’amministrazione di Michele De Pascale avesse brillato tanto, nel lustro precedente. Anzi, anche a Ravenna e nel ravennate alluvioni e altre tragedie tutt’altro che naturali avrebbero potuto giocare a favore delle forze di opposizione, ma…
… Ma l’Emila Romagna è un “feudo inespugnabile” della Sinistra, dicono oggi i “ducetti” di Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega. I loro granitici “supporter”, nel “web”, aggiungono che gli emiliani e i romagnoli sarebbero dei “pecoroni”, i quali, qualunque cosa accada, votano per il Partito democratico.
Mai fesseria più grande fu pronunciata, nel tentativo di mascherare l’ignavia dell’attuale opposizione in regione. A Ravenna – questo è il dato da cui è necessario partire, per un ragionamento serio -, più di un elettore su due è rimasto a casa, per di più nel primo turno delle elezioni, quelle per la scelta del sindaco, che, di norma, registrano la partecipazione più sentita.
Altro che strapotere del Pd, siamo al riflusso generalizzato del corpo elettorale. Si è al cospetto della “grande fuga” dalla democrazia.
La Sinistra vince perché, amministrando e gestendo tutto, riesce ovviamente a portare al voto tutte le proprie truppe cammellate che, unite al voto ideologico o di opinione che premia anche quella parte politica, le permette di arrivare al 30% del consenso possibile (cioè, il 60% della metà dei votanti rispetto a coloro che hanno diritto a votare). Quel che non si spiega, quindi, è come, tra il 70% di coloro che, evidentemente, sono delusi dalla politica e dall’amministrazione del proprio territorio, solo il 12.5 scelga chi rappresenterebbe l’alternativa al potere.
In altre parole, il Centrodestra emiliano-romagnolo, un po’ ovunque, non è riconosciuto come una valida alternativa alla Sinistra. Ci sono eccezioni, certo, come Ferrara e Piacenza o come, ogni tanto, in altre realtà come Forlì. Di norma, però, gli uomini e le donne di Giorgia Meloni, Antonio Tajani e Matteo Salvini sono visti come uguali a quelli di Elly Schlein, nelle motivazioni che li spingono a fare politica, considerandoli, però, più incapaci.
Da Bologna, l’orizzonte che s’intravede per il prossimo futuro non è migliore.
Con una recente intervista, una “ducetta” del Centrodestra ha messo le cose in chiaro: a sfidare il sindaco uscente dovrà essere un esponente dei partiti del Centrodestra. Poi, con un “servizio informato”, il principale quotidiano della città ha snocciolato i nomi: Stefano Cavedagna, Francesca Scarano per Fratelli d’Italia; Nicola Stanzani per Forza Italia; Matteo Di Benedetto per la Lega. Con tutto il rispetto per tutti loro, si tratta di una lista di “seconde linee”, di personaggi che devono tutto ai rispettivi “dominus”: Galeazzo Bignami, Valentina Castaldini e Lucia Borgonzoni. E il fatto che i “ducetti” del Centrodestra si chiamino fuori dalla battaglia, riporta alla memoria l’irriverente canzoncina antifascista della metà degli anni ’30: “Quando la pugna diventa pugnetta, ogni gerarca a partire s’affretta…”
Fuor di battuta, la verità è che il Centrodestra, da ormai troppi anni, non solo non crede più alla possibilità di vincere, ma non crea nulla che possa far emergere, coinvolgendo realmente le forze vive che pure esistono in città, per illustrare ai cittadini una “visione diversa” di Bologna che possa affascinare gli elettori delusi, quelli che si rifugiano in numeri sempre più grandi nell’astensione.
Non che Fratelli d’Italia, Forza Italia o Lega chiudano le loro porte, ai cittadini, non è questo. Solo che, a chiunque entri, è chiesto, in primo luogo e in modo vincolante, di trasformarsi subito ed essenzialmente in un sostenitore dei rispettivi “ducetti”. Non si chiede alla gente di portare idee, innovazioni, impegno a rivitalizzare il consenso laddove è cresciuta maggiormente la sfiducia; si pretendono solo indirizzi di amici e conoscenti e l’impegno a scrivere questo o quel nome sulla scheda elettorale.
Nel Centrodestra emiliano ci sono i campioni mondiali di preferenza, con record che si accompagnano sempre più di sovente alle “retrocessioni” in termini di voti per il partito e le coalizioni. L’analisi della politica dell’opposizione nostrana assomiglia molto a quella degli appassionati di basket, quando sono costretti a prendere atto di come, sì, il proprio beniamino segni 30 o anche 40 punti a partita, perdendo, però, la propria squadra, tutte le sfide.
Altri due rapidi e recenti esempi, per capire le condizioni di partenza delle prossime comunali.
Quando arruola forze nuove, questo Centrodestra così ottusamente impegnato a salvaguardare i “ducetti”, lo fa solo per annichilirle. Basti pensare al dottor Giancarlo Pizza, medico ed ex-presidente del prestigioso Ordine, messo in lista con tanta enfasi alle precedenti elezioni e fatto arrivare solo settimo (è diventato consigliere da poco, dopo le dimissioni di Marta Evangelisti, Francesco Sassone e Stefano Cavedagna, eletti successivamente in Regione e a Strasburgo), dietro tutti i fedelissimi del “ras”. E’ così che si valorizzano gli elementi della società civile? Oppure a Manes Bernardini, il quale, dal giorno in cui è tornato in pista, nelle file di Forza Italia, viene vissuto nel partito come un “barbaro invasore”, salvaguardato solo da accordi nazionali tra Tajani e l’ex-sindaco di Verona, Flavio Tosi, non ostante sia l’unico esponente “azzurro” ad aver portato indubbiamente, oltre che voti nuovi, qualche idea spendibile tra le realtà sociali ed economiche cittadine. E’ in questo modo che si può allargare il consenso dell’opposizione a Lepore?
Bologna meriterebbe di più, senza dubbio.