L’ideologia Green, imposta a tappe forzate dall’Unione Europea, dimostra ogni giorno di più di fare a pugni con la realtà e comincia a scricchiolare anche tra le fila di coloro che inizialmente l’avevano sostenuta.
Accade così che tra Emilia-Romagna e Toscana, due regioni storicamente rosse e perciò, necessariamente, anche verdi, sia iniziata una vivace polemica a causa del progetto del maxi-parco eolico di Badia del Vento, che prevede l’installazione di sette aerogeneratori alti 180 metri ciascuno nel territorio di Badia Tedalda, in provincia di Arezzo. Per rendersi conto dell’impatto paesaggistico, che si rifletterebbe anche su territori dell’Emilia-Romagna e delle Marche, ciascun generatore dovrebbe essere alto come un palazzo di 60 piani!
Fronti contrapposti
Questo comporterebbe un massiccio abbattimento di alberi, l’esecuzione di trivellazioni e la realizzazione di imponenti fondazioni in cemento armato. Una volta attivate le pale eoliche, poi, ci sarebbero i consueti problemi di inquinamento acustico e di disturbo al volo degli uccelli.
I fronti contrapposti vedono da un lato Legambiente, sostenitrice del progetto insieme alla Regione Toscana. Quest’ultima ha richiesto di superare la Valutazione di Incidenza negativa sulle aree protette con misure compensative.
Dall’altro lato della barricata figurano la Sovrintendenza belle arti e paesaggio, il WWF, Italia Nostra, oltre al governatore dell’Emilia-Romagna Michele De Pascale, che denunciano anche l’instabilità idrogeologica dell’area interessata.
Studi si ma segreti!
Lascia perplessi la cosiddetta logica compensativa, in base alla quale si possa derogare a degli impatti negativi con risarcimenti economici o di altro tipo. Preoccupante risulta inoltre la secretazione dello studio anemologico, ossia, delle condizioni del vento nella zona. La spinta del vento rappresenta un parametro essenziale da tenere presente in fase di progettazione per questo genere di impianti, specie in considerazione delle mastodontiche dimensioni in gioco. Questo per valutare non solo la resa dei generatori, ma anche la sicurezza degli abitanti e dei luoghi. È inspiegabile che uno studio di tale importanza non venga reso pubblico.
A quanto dichiara Legambiente, invece,”…il cambiamento climatico ha già devastato l’Appennino tosco-romagnolo…bloccare l’eolico sull’Appennino, anche quando gli impianti sono progettati correttamente e collocati nei pochi punti in cui la disponibilità di vento è adeguata, è incomprensibile.” Non dubitiamo che gli impianti siano stati progettati correttamente, ma allora perché secretare lo studio anemologico?
Vogliamo sperare che le due regioni confinanti e in apparente sintonia politica possano presto confrontarsi nell’interesse della zona appenninica coinvolta dal progetto. Nel frattempo, però, è lecito chiedersi a quante battaglie ideologiche dovremo ancora assistere in nome dei dogmi UE e, soprattutto, a fronte di quali reali benefici per l’ambiente e per i cittadini.
Raffaele Amato
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