Lewis Hamilton è il pilota che ha vinto di più nella storia della Formula 1. 7 campionati del mondo, 105 gran premi, 104 pole position con la grinta di chi non molla mai. Ad uno come lui perdoneresti tutto. O forse no.
Non stiamo parlando del suo ego smisurato, del culto di sé stesso, delle treccine o delle stravaganze nell’abbigliamento. Quelli sono dettagli che fanno parte di un personaggio certamente unico.
No. Non riusciamo a perdonargli l’aver trascinato la politica in Formula 1, un ambito da cui le pur legittime posizioni di ciascuno dovrebbero comunque restare fuori, come da qualunque altro sport. Era il 2020 quando, a seguito della morte di George Floyd per mano di agenti della polizia di Minneapolis, esplose il movimento Black Lives Matter – BLM – nato nel 2013 per un analogo episodio, distintosi per proteste violente.
Ben presto il BLM si saldò con la Cancel Culture, ossia la cultura della cancellazione – meglio sarebbe dire cancellazione della cultura – che già aveva mostrato il suo embrione nel movimento Me Too. Statue di Cristoforo Colombo e altri personaggi storici considerati razzisti abbattute, soppressione nelle scuole e nelle università di testi di autori non conformi al nuovo credo e innumerevoli episodi di furia iconoclastica avente come bersaglio tutto quanto richiamasse il ruolo storico dell’uomo bianco, peggio se cristiano ed eterosessuale.
Woke
Da questo clima avrebbe poi tratto nuova linfa la cosiddetta cultura Woke, nata negli anni 30 del’900 con oggetto le problematiche degli afroamericani e allargatasi negli ultimi tempi a tutte le minoranze in qualche modo discriminate. Lewis Hamilton, e non fu l’unico sportivo, abbracciò subito il BLM, utilizzando i propri canali social e arrivando a inginocchiarsi, assieme ad altri 12 piloti, sulla linea di partenza del Gran premio di Austria del 2020, in memoria di George Floyd.
Ricordiamo con piacere che Leclerc ed altri piloti si astennero da questa manifestazione, diventata di moda per un certo periodo in vari eventi e verificatasi anche nel nostro parlamento, non senza una certa dose di comicità. Ma Hamilton non si fermò a questo. Pretese ed ottenne che le Mercedes di Formula 1 abbandonassero il tradizionale e storico colore argento per diventare nere, come nere furono le tute dei piloti. Immaginiamo che l’allora compagno di squadra Valtteri Bottas non sia stato molto entusiasta nei gran premi più assolati…
Nemmeno questo bastò al pilota inglese che, nel 2021, prese di mira le leggi ungheresi contro la propaganda omosessualista, dichiarando, alla vigilia della gara magiara: ”Le leggi anti-gay ungheresi inaccettabili, codarde e fuorvianti“.
Comunque la si pensi su quelle leggi di Budapest – e noi la pensiamo esattamente all’opposto di Lewis – non si può non sottolineare l’arroganza di un pilota che pretende di giudicare le norme di un paese sovrano, con un governo legittimo ed eletto democraticamente, da un pulpito che non dovrebbe mai essere politico.
La nemesi
Sono passati 4 anni da allora, oggi Hamilton è un pilota Ferrari strapagato, nonostante l’anagrafe non possa fare troppi sconti. L’adattamento con la rossa non è che stia andando molto bene e, fatalità, proprio al Gran Premio di Ungheria i risultati sono stati i più deludenti. 12° in griglia di partenza, mentre il compagno di squadra Leclerc scattava dalla pole position, 12° anche in gara.
Dopo le prove Hamilton ha dichiarato: ”La macchina non è un problema, visto che è in pole. Forse è meglio che Ferrari cambi il pilota”. Umanamente, e anche da tifosi Ferrari, non possiamo certo rallegrarci per tanta amarezza. Ma non possiamo nemmeno astenerci dal constatare come la superbia del 2021 all’Hungaroring, per una sorta di nemesi, sia stata punita proprio in quello stesso circuito. Il tempo è galantuomo…
Raffaele Amato
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