Il giornalista cerca la verità, l’editore il fatturato: chi vince secondo te?
Il giornalismo italiano ha vissuto una trasformazione profonda dagli anni ’70 a oggi, passando da una stagione eroica, segnata da firme autonome e giornali ancora capaci di disturbare il potere, a una fase in cui il confine tra informazione e propaganda si è fatto sempre più sottile, anche a causa della centralità dell’editore
Negli anni della Prima Repubblica l’editore era spesso un imprenditore con interessi politici e industriali, ma il giornalista conservava margini di manovra perché il giornale aveva un’identità forte, spesso legata a un partito o a un movimento culturale.
Con l’arrivo di De Benedetti, negli anni ’80, si è affermato un modello nuovo: il quotidiano come impresa editoriale moderna, efficiente e orientata al mercato. Questo ha portato a innovazioni importanti, ma ha anche inaugurato una stagione di dipendenza economica più forte dalle logiche del capitale.
Dagli anni ’70 a oggi, il mestiere dell’informazione tra libertà potere e algoritmi. Oggi il ruolo dell’editore è decisivo: sceglie la linea, i direttori, e può orientare i contenuti.
Il giornalista può ancora essere libero, ma deve sapere che sta camminando su un filo. I confini della libertà sono sempre più negoziati: un cronista può fare una critica costruttiva al governo?
Sì, ma con intelligenza, equilibrio e consapevolezza del contesto.
Il rischio non è solo essere ripresi dall’alto, ma anche essere ignorati o derisi se non si gestisce bene la comunicazione.
In questo senso, i social offrono un’arma nuova: il giornalista può rivolgersi direttamente ai cittadini, creare uno spazio di dialogo che non passa più dall’intermediazione classica dei media.
È una potenzialità enorme, ma anche un rischio: perché chiunque può sembrare “giornalista”, e il rumore digitale può coprire le voci serie.
Aprire un dialogo diretto con il governo attraverso i social è possibile, e forse necessario, in un’epoca in cui la stampa tradizionale è spesso vista con sospetto.
Intanto, dal 1° giugno 2025, entra in vigore il nuovo Codice Deontologico delle Giornaliste e dei Giornalisti, che stabilisce con chiarezza che l’intelligenza artificiale non può sostituire l’attività giornalistica, e che ogni uso di questi strumenti deve essere trasparente e dichiarato.
Il codice riafferma l’obbligo di separare nettamente informazione e pubblicità, integra le storiche Carte deontologiche (Treviso, Roma, Firenze) e introduce un richiamo alla dignità dei compensi, chiedendo ai giornalisti con ruoli direttivi di vigilare sulle condizioni lavorative dei colleghi.
Per chi viola le norme, sono previste sanzioni fino alla radiazione.
È una risposta importante, anche per il lettore che non compra più il giornale in edicola ma lo legge online, magari dal cellulare tra una notifica e l’altra.
E proprio a questo lettore serve ricordare che il giornalismo non è un algoritmo né una guerra di opinioni, ma una pratica di verifica, responsabilità e onestà.
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