La Battaglia di Mariupol

La Battaglia di MariupolLa Battaglia di Mariupol – A seguito del ritiro russo da Kiev e l’abbondano del 25 marzo di tutto il fronte nord, l’attenzione dello sforzo militare del Cremlino si è rivolta principalmente contro la città-fortezza di Mariupol, dove, come già detto, le forze ucraine si sono trovate quasi immediatamente accerchiate.

Bisogna subito dire che l’esercito ucraino concentrava a Mariupol un importante dispositivo di difesa, corrispettivo da qualcosa tra i 12 e i 14 mila uomini, ovvero circa tre brigate, tra cui la 36esima di fanteria di marina, una unità di élite che si distinse nei pesanti combattimenti urbani, oltre che la componente principale del “Battaglione Azov” della Guardia Nazionale (con una forza in realtà corrispettiva almeno a quella di un reggimento rafforzato piuttosto che quella di un solo battaglione).

Il nodo di Mariupol

Mariupol, principale porto sul Mare d’Azov e appoggiata al termine meridionale della linea di contatto, ovvero l’insieme di posizioni fortificate che da quasi otto anni divideva i territori del Donbass controllati da Kiev e quelli controllati dalle repubbliche separatiste filorusse di Donetsk e Lughansk, è sempre stata una spina nel fianco per i russi, ponendo una cesura per ogni possibile collegamento terrestre tra Russia e Crimea, minacciando direttamente da sud Donetsk e le linee di collegamento tra Donetsk e Rostov e indirettamente lo stretto di Kerch a collegamento tra Crimea e la penisola russa del Kuban.

La città, peraltro, assumeva un grande valore simbolico, dal momento che all’avvio della guerra del 2014, dopo un primo momento in cui era stata in mano alle forze della Repubblica Popolare di Donetsk, era stata riconquistata dopo accaniti combattimenti dalle forze di Kiev, assumendo lo status di città-preda e simbolo della reazione armata di Kiev al separatismo filorusso del Donbass.

Non è quindi certo un caso che immediatamente si sia manifestata la priorità strategica russa di eliminare tale minaccia e con essa la concentrazione di forze ucraine lì raccolte.

Lo sbarco anfibio

L’operazione ha avuto immediatamente successo, grazie, come già ricordato, l’intervento anfibio della marina russa che sbarcando a Berdyansk, cittadina portuale posta immediatamente a ovest di Mariupol dove stanziava anche una base operativa della marina ucraina, ha subito fornito un importante punto di appoggio alle truppe che avanzavano rapidamente dalla Crimea verso est seguendo la costa.

Un attacco così rapido dalla Crimea, per di più supporto anfibio, probabilmente colse di sorpresa i comandi ucraini che non seppero reagire rapidamente, trovandosi immediatamente schiacciati tra le forze filorusse stanziate sulla linea di contatto a est e quelle russe in avanzamento da ovest. Forse un immediato ordine di ripiegamento con annesso abbandono della città avrebbe potuto salvare prospetticamente le truppe ucraine a Mariupol. Fatto sta che il mancato ordine di abbandonare la città – mancato per valutazioni militari o anche politiche, visto il chiaro messaggio negativo che si sarebbe dato al morale ucraino con l’immediato abbandono di una posizione strategica così rilevante, tenuta fin dal 2014 a caro prezzo – ha condannato senza appello i difensori rimasti intrappolati nella città.

L’accerchiamento è stato poi completato con lo sfondamento delle truppe della milizia di Donetsk della linea di contatto a sud della città verso Volnovakha, importante snodo autostradale del Donbass meridionale che collega Mariupol e Donetsk.

La battaglia di Volnovakha

La battaglia per Volnovakha si è sviluppata come una battaglia minore tra il 25 febbraio e il primo marzo, condotta interamente dalla Milizia di Donetsk, senza un diretto supporto russo. Il 2 marzo la via di Volnovakha era annunciata chiusa da Denis Pushilin, il presidente della Repubblica Popolare di Donetsk, e iniziava l’assedio vero e proprio di Mariupol.

L’assedio di Mariupol

A separare le truppe ucraine di Mariupol dalle più vicine truppe ucraine, poste attorno alla cittadina fortificata di Ugledar, poco a nord di Volnovakha , è stata una zona di separazione di circa 60khm, una distanza incolmabile per un’eventuale controffensiva ucraina, per quanto da parte degli ambienti ucraini sostenitori di forze politicizzate come quelle di Azov, non siano mancate le polemiche e i sospetti di tradimento da parte di Zelensky circa una volontà di abbandonare i difensori di Mariupol (in realtà, come detto, semplicemente è inverosimile ritenere che in quel momento l’esercito ucraino potesse realmente avere i mezzi per organizzare una tale controffensiva).

I civili rimasti bloccati

Va sottolineato anche come la rapidità della manovra russa, brillante dal punto di vista militare, abbia comportato tuttavia che, insieme alle truppe, anche la più parte della popolazione civile (circa 200.000 persone) si siano ritrovate imprigionate nella città sui cui cominciavano ad abbattersi pesanti bombardamenti. Da qui i tentativi di mediazione della Croce Rossa e della Turchia, di aprire dei corridoi umanitari per il deflusso della popolazione civile, i quali hanno proceduto in via intermittente, con scambio reciproco di accuse tra Russia e Ucraina sull’indisponibilità della controparte ad evacuare efficacemente i civili, per tutto il mese di marzo.

I corridoi umanitari

Al riguardo va notato che da parte russa si sono fatte le maggiori richieste di apertura per i corridoi umanitari, mentre è da parte ucraina che si sono avute le maggiori reticenze. Il tutto, d’altra parte, è comprensibile anche dal punto di vista militare, visto che i russi, con postura offensiva e capaci di godere di una larga superiorità in termini di capacità di fuoco, avevano l’interesse di poter combattere in una città sgombra dell’intralcio dato dalla presenza di una popolazione non combattente.

In ogni caso il 12 marzo iniziava l’assalto diretto alla città, dopo una decina di giorni di consolidamento del perimetro di assedio. Il 18 marzo i russi e le forze separatiste annunciavano la presa dell’aeroporto, nel mentre che sviluppavano uno sforzo principale di offensiva nel quartiere residenziale di Livoberezhnyi, nella parte orientale della città – tenuta direttamente dagli uomini di Azov mentre i fanti di marina ucraini tenevano soprattutto il lato nord della città e relativi quartieri industriali mentre le altre forze regolari ucraini tenevano il lato ovest del quartiere Zhovtnevyi e il fronte del porto – separato dalla parte centrale e occidentale dal grande complesso dell’acciaieria Azovstal e dal fiume Kalmius.

Arrivano i ceceni

A condurre gran parte dei combattimenti urbani, a supporto della milizia di Donetsk i russi hanno, inoltre, subito destinato i ceceni della forza speciale Akhmat, inquadrata nella Rosvgardia (una sorta di alter ego russo dell’arma dei carabinieri) ma altamente autonoma.

Le forze cecene, con molti uomini e gran parte del proprio corpo ufficiali, reduci delle guerre cecene e dell’assedio di Grozny si sono rivelate indispensabili per condurre quei combattimenti urbani, condotti casa per casa, con assalto ad un palazzo dopo l’altro, in cui le forze regolari dell’esercito russo non si sono mai particolarmente distinte.

L’apporto delle milizie di Donetsk

Di fatto, al di là del supporto di alcuni reparti di paracadutisti e di fanti di marina delle forze regolari russe, tutto lo sforzo su Mariupol è stato condotto principalmente dalla Milizia di Donetsk (inclusi i battaglioni d’élite Sparta, Somalia, Vostok), coadiuvate appunto dal supporto dalla Akhmat. Al 31 marzo la pressione russa aveva portato alla quasi integrale conquista della parte est della città e dell’area residenziale, fermandosi ai cancelli del complesso della Azovstal, trasformata in una vera e propria fortezza da parte degli ucraini, sfruttando i numerosi piani sotterranei e bunker dell’acciaieria come depositi di munizioni, viveri e ricovero per gli uomini al sicuro dai bombardamenti russi.

La pressione russa

Anche a nord la linea difensiva ucraina indietreggiava, mentre i russi sviluppavano un’ulteriore pressione da ovest per puntare direttamente sul centro città (già al 23 marzo i combattimenti si erano avvicinati alla Cattedrale), consistendo la strategia russa nel congiungere nel centro città la direttrice offensiva occidentale e quella orientale, in modo da sezionare la resistenza ucraina in tre sacche distinte di minori dimensioni: la prima a sud-est alla Azovstal, la seconda a nord nei quartieri industriali, la terza a sud-ovest nell’area del porto.

Il 2 aprile cadeva il palazzo dello SBU (i servizi di sicurezza ucraini), posto al centro della città e che fungeva da bastione della difesa ucraina nell’area urbana, risultando così sostanzialmente raggiunto l’obiettivo russo di sezionamento delle forze nemiche. Il grosso delle forze dei fanti di marina ucraini erano separati dal centro di resistenza della Azovstal.

Il 4 aprile un battaglione ucraino di circa 250 uomini, posto nelle posizioni più settentrionali della città si arrendeva ai russi, continuando a tenere il grosso della brigata asserragliata nell’impianto Illich, che tuttavia cadeva anch’esso il 10 aprile con resa di circa di 2.000 uomini.

L’Azovstal

Da allora restavano da schiacciare per i russi le ultime due sacche di resistenza, quella del porto e quartieri adiacenti e quella della zona dell’Azovstal. Tra il 15 e il 16 aprile le forze della Milizia di Donetsk erano riuscite a circoscrivere il perimetro di combattimento nella zona della Azovstal alla sola acciaieria in senso stretto e ad ovest, ad arrivare alla spiaggia, rompendo le difese ucraine nell’area portuale. Di conseguenza i difensori del battaglione Azov tentavano disperatamente di organizzare una sortita con una colonna militare (in parte camuffata con il segno della Z dipinto sui veicoli) per cercare una via d’uscita dall’assedio. Fallito immediatamente il tentativo mimetico, la colonna venne subito investita dall’inteso fuoco russo, rivelandosi un catastrofico fallimento con la perdita di centinaia di uomini e mezzi.

Da sottolineare inoltre, che il tentativo di sortita della Azov, è stato accompagnato da almeno tre tentativi (di maggior successo) di esfiltrazione via elicotteri di parte del personale ucraino (o forse occidentale, vista la rischiosità e segretezza dell’operazione). Volando a bassissima quota, gli elicotteri ucraini riuscirono nell’intento di raggiungere almeno tre volte la Azovstal, venendo abbattuti nel viaggio di ritorno (due di essi) in un’occasione sola, a quanto pare abbattuti da uomini della Milizia di Donetsk armati, per ironia della sorte, con missili Stinger catturati al nemico.

Assedio

Al 20 aprile di fatto tutta la città era in mano ai russi, salvo l’acciaieria, che i russi rinunciavano di assaltare direttamente viste le poderose capacità difensive della struttura, preferendo (date le alte perdite in ogni caso subite in quasi due mesi di combattimenti urbani) passare ad una tattica di assedio puro, sperando di prendere per sfinimento i difensori, senza ulteriore dispendio di forze umane e materiali.

Allo stesso tempo da fine aprile e maggio cresceva l’intensità dei bombardamenti aerei condotti da bombardieri strategici Tu22 e Tu160, con impiego di FAB3000, bombe da tre tonnellate progettate per distruggere i bunker tedeschi nella fase terminale della Seconda Guerra Mondiale, oltre che ad un vasto impiego di bombe al fosforo ed alla termite.

Alla fine, dopo quasi un mese di resistenza, essenzialmente per esaurimento delle scorte, i difensori della Azovstal passavano alla resa. Il 16 maggio, un drappello di uomini della Azov si presentava con la bandiera bianca alle linee della Milizia di Donetsk per parlamentare la resa, che veniva completata il 20 maggio, definita eufemisticamente come “ordine di evacuazione” da Zelensky.

Il 26 maggio i russi riaprivano il porto di Mariupol avendovi completato le opere di sminamento.