Ci sono battaglie difficili, scomodissime da combattere. Ma che bisogna combattere. Anche correndo il rischio di non esser compresi o di esser attaccati strumentalmente dai nemici. Conseguenze inevitabili d’ogni battaglia per la verità. E contro il mainstream.
Gilberto Cavallini non è stato un “bravo ragazzo”. E’ stato un militante extraparlamentare degli anni ’70, un “duro”, il quale ha commesso, nella cornice ideologica e attivistica in cui si era quasi volontariamente rinchiuso, molti e gravissimi reati. Ha anche ucciso, Cavallini, come tanti altri hanno fatto, in quella che per loro era una guerra contro il Sistema. Per i magistrati di Bologna, è addirittura uno degli esecutori materiali della Strage di Bologna. Quella sentenza, però, è solo un vergognoso prodotto di un sistema giudiziario ancora capace di prostrarsi alle esigenze della politica, invece di sottomettersi allo spirito del Diritto.
Al di là dell’ultimo verdetto, Cavallini l’ergastolo lo aveva rimediato e meritato per gli altri delitti compiuti ai tempi dei Nuclei armati rivoluzionari. Al pari di altre centinaia, migliaia di brigatisti rossi e neri, alla fine è stato chiamato a rispondere delle sue azioni. Ma, come nessun altro di coloro che si erano fatti travolgere da quegli anni di piombo e fuoco, ha pagato duramente i suoi errori, le sue scelte, le sue azioni. 42 anni di detenzione, la maggior parte dei quali all’interno del carcere. Con diligenza, se non con dignità, ha rimesso e sta continuando a rimettere il suo debito con la società.
Da qualche anno, però, nel solco di quanto previsto dalla Costituzione, era stato ammesso al lavoro esterno, assolto con impegno e con grande soddisfazione di chi si è avvalso del suo contributo in ausilio a persone in difficoltà. Chi lo ha conosciuto, in questo ultimo lustro, ha apprezzato l’energia di questo uomo ormai anziano e diverso dal ragazzo con la pistola di quattro decenni addietro, il quale tentava di restituire al prossimo – nei termini dell’avere cura di – un poco di quel bene che aveva sottratto ad altri, quando “altro” e “nemico” erano drammaticamente sinonimi. Non era libero, Cavallini, ma solo ammesso al lavoro esterno.
Poi, il nuovo processo di Bologna. Pochi lo ricordano, ma Cavallini fu portato alla sbarra essenzialmente perché – questo sarebbe stato l’elemento nuovo decisivo – si sarebbe scoperto come, in un suo vecchio documento, sarebbe stato attestato l’aver ricevuto da Licio Gelli un milione di franchi svizzeri, all’epoca equivalenti a circa un milione di euro. Prima ancora che iniziassero le udienze, certa stampa e certe televisioni amplificarono la “novità” che, in un colpo solo, avrebbe consegnato alla storia il quarto responsabile dell’attentato e il finanziatore dell’eccidio.
L’unica colpa accertata in aula, però, è stata proprio quella di chi aveva maliziosamente interpretato la calligrafia di Cavallini, affinché il suo appunto sembrasse testimonianza di un pagamento che, al contrario, non c’era mai stato. Tanto è vero che, come se nulla fosse stato detto e scritto sull'<appunto Cavallini> per due anni e più, quel fantomatico pagamento è diventato – nella successiva sentenza a carico di Paolo Bellini – una valigetta di soldi cash consegnata dal capo massone a Valerio Fioravanti, pur ammettendo, anche quegli altri giudici, come non esista uno straccio di prova sull’esistenza materiale di quei soldi, del luogo dove sarebbero stati consegnati, delle mani che li avrebbero ceduti e di quelle che li avrebbero presi.
Forse, è proprio questa la colpa che ha scatenato in un ben determinati fronte giudiziario e politico l’odio viscerale contro Cavallini, reo, ai loro occhi, più che dei delitti per quali era già stato condannato, d’aver sputtanato il metodo faziosamente inquisitorio che ha caratterizzato gli ultimi due processi per la Strage di Bologna.
La conseguenza è nota. Non potendo aumentare quantitativamente il carico che già gravava da decenni sulle spalle di Cavallini, qualcuno ha trovato il modo di aggravarlo dal punto di vista qualitativo. Come? Sostenendo che lo Stato, da cui la vita di Cavallini dipende in tutto e per tutto dal 1983, si sarebbe “dimenticato” di fargli scontare 3 anni di “isolamento diurno”. Attenzione: non si tratta di 3 anni in meno che il detenuto non avrebbe scontato, ma di tre dei 42, segnatamente i primi, in cui avrebbe dovuto restare in cella senza vedere nessuno.
Ora, premesso che, dei 35 passati in cella, ben più di tre sono stati quelli in cui Cavallini, se non formalmente, sostanzialmente è rimasto isolato; è morale uno Stato che, ammettendo di aver sbagliato nei confronti di un detenuto, dopo così tanto tempo, faccia pagare al detenuto stesso le conseguenze del suo errore? Certo che non lo è, anzi, è una porcata che dimostra solo il grado di abiezione del sistema giudiziario italiano. Eppure, è successo proprio questo e a Cavallini è stato revocato il permesso di lavorare all’esterno del carcere, stabilendo che, a 73 anni, ne trascorra altri 3 nella carcerazione più dura.
Una tale, inammissibile violazione degli articoli 13. 27 della Costituzione, come direbbero e diranno certuni, avrebbe scatenato polemiche, dibattiti, appelli alle più alte autorità della Repubblica. Ma siccome non si tratta di un delinquente comune, di un ex-brigatista rosso o di un Alfredo Cospito qualunque, ma solo di un fascista, poco male… E di certo Cavallini non potrà contare sulle attenzioni di una destra di governo che s’accorge che la magistratura è in parte ancora rossa, ma solo quando si occupa dell’applicazione di alcuni decreti oggettivamente scritti male o dei guai personali e societari di qualche suo esponente.
Realisticamente, l’iniziativa indetta per mercoledì prossimo, a Bologna, non potrà influire direttamente su questo stato di cose, ma testimonierà l’esistenza ancora di uomini e donne che non si arrendono alla strazio della verità sulla Strage di Bologna e che non restano muti di fronte al manifestarsi di un odio vendicativo che non ha niente a che vedere con l’aspirazione a conoscere cosa e come ha macchiato di sangue la storia recente del nostro Paese.
Per partecipare all’iniziativa, che si svolgerà presso la pizzeria Due Lune, a Bologna, via Bertocch 1/a, mercoledì 15 ottobre, alle 20.30, telefonare al 3518844983
Massimiliano Mazzanti
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Grazie per questa doverosa iniziativa anche se non potrò partecipare. Con il cuore e con la mente sarò presente!
Credo fermamente che il processo non abbia fatto luce sulla realtà dei fatti e che sia ignobile proporre delle verità di comodo dopo oltre 40 anni. Cercherò di esser presente.
Purtroppo non sono potuto intervenire.Piena solidarietà per i fratelli Camerati Condannati per la strage di Bologna senza uno straccio, di prova certa . Io non ero a Bologna.