La legge non è uguale per tutti.
Se sei un antagonista di sinistra puoi occupare case e stabili senza aver nessuna conseguenza, anzi vieni pure aiutato e premiato: il centro sociale Leoncavallo ne è la prova tangibile.
Un’occupazione lunga 40 anni
Da quasi 40 anni, i suoi adepti hanno occupato spazi cittadini senza averne diritto, anzi sono stati sempre aiutati e coccolati da una certa sinistra che trova in questi ultimi anni nel sindaco Beppe Sala il suo mecenate.
Storicamente il centro sociale era nato proprio in via Leoncavallo, in zona Casoretto dove era rimasto quasi venti anni tra il 1975, anno di fondazione del centro, e il 1994.
Sgomberati dalla vecchia area gli antagonisti del centro sociale trovarono un nuovo edificio da occupare in via Wattheau, in zona Greco e lì sono rimasti fino a oggi nonostante le tante iniziative dei proprietari per riprendersi l’immobile.
Ci sono costati 3 milioni di euro con 131 rinvii
Basti pensare che lo scorso novembre il ministero dell’Interno è stato condannato a risarcire 3 milioni ai Cabassi, proprietari dell’area, proprio per il mancato sgombero del centro sociale.
Anche questa volta, qualche giorno fa, l’ufficiale giudiziario è arrivato nello stabile di via Watteau a Milano, trovandosi davanti un gruppo di quasi duecento individui timorosi di perder il loro “giocattolo illegale” e, ha, gioco forza, notificato il rinvio al 15 maggio, e questa è la 131ma volta che succede.
Tranquilli compagni, ci pensa Sala
Nel giorni scorsi, sempre personaggi legati al mondo “Leonka”, aveva presentato il progetto di spostare il centro sociale in un capannone dismesso di proprietà del comune in via San Dionigi in zona Corvetto, e grazie alla giunta comunale a guida Sala è sicuro che la richiesta dei compagni verrà accettata.
E i milanesi onesti muti
Spalleggiati dai soliti amichetti “radical chic” di sinistra, questi perdigiorno che da quarant’anni occupano illegalmente, fregandosene di regole e norme, sbeffeggiano così gli onesti cittadini e chi invece, pur nel bisogno, richiede legalmente uno spazio per i loro bisogni.
Paolo Ornaghi
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