San Luca e bicicletta, per Mattia Santori, sono un binomio vissuto quasi con ossessione. Non è trascorso un mese, da quando il consigliere speciale del sindaco per il Turismo ha difeso, anche a dispetto del sindaco, la gazzarra di alcuni ragazzi, i quali hanno organizzato, svolto e filmato una gara di discesa, pericolosa e sconsiderata, giù dai portici del Santuario.
L’episodio, come si ricorderà, ha messo a dura prova i nervi di alcuni componenti della giunta comunale, col sindaco e altri ad affannarsi in scuse alla città – si tratta pur sempre del luogo sacro più caro alla comunità religiosa cittadina – e l’ex-capo delle “sardine” a sperticarsi in lodi per la performance dei suoi amichetti.
Adesso, però, Santori ha un altro progetto nella testa, con sempre le bici – almeno stando alle indiscrezioni raccolte – al centro della scena. E si parla di scena non in senso lato, ma proprio: al centro della scena di un enorme murales che, pagando profumatamente un artista – sul cui nome vige il più stretto riserbo -, l’amministrazione vorrebbe realizzare nel muro di cinta della ex-stazione di arrivo della funivia (foto in alto) che un tempo portava i fedeli e i turisti in cima al Colle della Guardia.
Così, di fronte al Santuario della Madonna di San Luca, se dovesse andare in porto il progetto, farebbe presto bella mostra di sé un disegno immenso – appunto sul tema del ciclismo – che, inevitabilmente, non potrebbe che fare a pugni con l’austerità e la sacralità di un luogo eletto a patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
Due soli sarebbero gli ostacoli da superare, per portare a “buon” fine questa assurda e balzana idea del Santori: i vincoli della Sovrintendenza e il permesso del privato, a cui appartiene il muro in oggetto. Il pupillo di Romano Prodi, però, si è già messo all’opera, sia incontrando il proprietario dello stabile – dismesso ormai da anni e anni – sia inoltrando le prime richieste all’ente preposto alla tutela ambientale e artistica della città.
Ottenere il permesso di dipingere il murales sulla cinta della stazione dalla proprietà, grosso modo, è abbastanza facile, anche perché – almeno così pare – la stessa si sarebbe comunque riservata di rispondere dopo il parere della Sovrintendenza. Mentre aggirare i vincoli – come dimostrano le recenti vicende dell’ex-Cierrebì e dell’ex-vivavio della Certosa – è uno sport, di cui a Palazzo d’Accursio albergano i campioni assoluti, a livello nazionale e anche oltre. Per altro, il “writer”, a cui verrebbe commissionata “l’opera” – pagandolo profumatamente -, garantirebbe la dimensione artistica necessaria a far sì che la Sovrintendenza si senta in dovere di dare il permesso.
Chissà come la prenderanno i vertici ecclesiali locali, quando questo progetto verrà “cantierizzato”, a vedere “valorizzato” così laicamente un luogo da sempre associato alla spiritualità e alle tradizioni della fede bolognese e cattolica universale.
Per altro, chissà quanto saranno contenti i residenti dell’area collinare, quella che soffre ancora molti mali causati dall’incuria e dal dissesto idrogeologico, per porre rimedio ai quali – risponde di sovente l’amministrazione – mancano sempre le risorse necessarie, nello scoprire che il Comune investirà molte migliaia di euro, forse centinaia di migliaia di euro, per lasciare un’impronta anche un po’ sacrilega nel punto più alto e più suggestivo della corona di terra e alberi che arricchisce e abbellisce la città.
D’altro canto, un “regime” non è veramente tale, se non si profonde non solo in grandi opere pubbliche, anche a rischio – parole di Matteo Lepore – di mandare in fallimento l’intera città; ma anche lasciando un segno “artistico” che ne testimoni ai posteri il potere esercitato in un determinato periodo storico. E dove meglio, se non sul colle più alto della città, si potrebbe lasciare una traccia semi-indelebile dell’esistenza e della “magnificenza” della giunta di Matteo Lepore? Per di più con un’espressione, il murales da periferia, che meglio riassume il significato e l’indole dei governanti che hanno messo le mani sulla città.