L’uomo: un vertice nella creazione o solo un puntino luminoso tra le stelle?
Sopra il tetto della cuccia di Snoopy ci siamo noi, a guardare le stelle con un misto di stupore e smarrimento, chiedendoci chi siamo, da dove veniamo, chi ci ha creati.
L’evoluzione ci ha dato una narrazione alternativa alla creazione, ma nessuna teoria ha ancora spiegato tutto.
Più cerchiamo risposte definitive, più ci ritroviamo in una giungla di ipotesi, paure, illusioni.
Prendiamo ad esempio le giraffe dal collo lungo, simbolo scolastico della selezione naturale: “collo lungo, foglie alte”. Ma la realtà è più spietata.
Quelle giraffe erano strateghe: mangiavano prima le foglie basse per lasciare a digiuno le altre, per eliminarne l’esistenza.
È un dettaglio rimosso dai libri, come la loro omosessualità, ignorata nonostante l’eterodossia comportamentale. Si sono adattate, hanno vinto la sfida evolutiva.
Segno che la natura premia la resistenza e la resilienza. Come espresso da Charles
Darwin con L’origine della specie (1859), che manda in frantumi la visione dell’uomo come creatura eletta.
L’essere umano non è più l’immagine di Dio, ma un animale tra gli altri, frutto di casualità e adattamenti.
Accettare Darwin significava abbandonare l’idea dell’uomo come centro dell’universo, e quindi mettere in discussione tutto: i testi sacri, l’anima, il senso della vita. Ma nemmeno Darwin riesce a tutte le risposte e alcune domande restano aperte:
chi ha creato la scimmia? chi ha acceso la prima scintilla?
E qui torna utile Sant’Agostino, che già nel IV secolo intuiva che la Genesi poteva essere simbolica. Dio non come architetto onnipotente, ma come forza generativa, che infonde nella materia la capacità di trasformarsi nel tempo.
Il punto è che per giustificare il nostro primato abbiamo costruito una montagna di narrazioni. Camminiamo su due gambe e quindi ci crediamo più intelligenti. Ma se guardiamo un gatto, dobbiamo ammettere che la sua gestione di tempo, energia ed emozioni è spesso più raffinata della nostra.
Il gatto vola, noi no!
Il gatto non fa guerre, non inquina, vive alla rincorsa di topi. Forse non è meno evoluto: semplicemente non parla la nostra lingua.
Per tenere in piedi questa favola, nei secoli abbiamo normalizzato solo ciò che serviva al potere. Le donne, relegate a corpi da controllare. La sessualità non eteronormata, demonizzata.
Eppure nelle culture antiche da Atene al Giappone, esistevano forme di relazione tra adulti e giovani che erano viste come percorsi formativi dell’anima e del corpo, non devianze.
Il cristianesimo ha riorganizzato queste visioni secondo una morale funzionale al controllo, non alla comprensione. Ma l’evoluzione non ha morale: osserva, non giudica. E le altre religioni?
L’Islam è diviso: alcuni teologi cercano di conciliare Corano ed evoluzione, altri la rifiutano in blocco.
L’ebraismo, nelle correnti più aperte, la considera uno strumento di Dio.
L’induismo la accoglie dentro la ciclicità cosmica. Il buddhismo la dà per scontata: non c’è Dio creatore, solo impermanenza.
E nelle spiritualità indigene, Darwin sarebbe persino benvenuto: lì non esiste gerarchia tra uomo, animale e spirito.
Siamo tutti fratelli evolutivi. Darwin, in fondo, non è il nemico di Dio: è solo un altro mito, con più dati e meno incenso.
Ma resta un racconto, come tutti gli altri.
Il punto non è se abbiamo ragione noi o la giraffa. Il punto è che l’evoluzione
non è una risposta ma una domanda aperta, continua, e scomoda. E noi, poveri bipedi convinti di essere il centro del cosmo, faremmo bene a salire sulla cuccia, come Snoopy, a guardare le stelle, pieni di domande.