MC Abdul: la voce giovane che scuote le coscienze
Tra le figure più emblematiche degli ultimi anni c’è MC Abdul, giovanissimo rapper di Gaza, divenuto simbolo della lotta palestinese attraverso la musica.
Aveva solo 10 anni quando ha pubblicato il brano “Palestine”, registrato con un cellulare durante uno dei tanti bombardamenti su Gaza.
Nel video, semplice ma potente, la sua voce recita: “We just want peace / Want to live our life / But they want us dead”.
Con testi maturi e profondi, Abdul racconta la vita quotidiana sotto assedio: le notti interrotte dalle esplosioni, i sogni spezzati, l’infanzia rubata.
Il suo brano “Shouting at the Wall” è un atto d’accusa diretto, crudo, impossibile da ignorare: “I’m just a kid / Living in a warzone / Every night I pray / That I’ll wake up at home”.
Pur avendo ottenuto attenzione internazionale e firmato un contratto discografico, MC Abdul ha scelto di restare a Gaza. E questa scelta, da sola, rafforza il messaggio di ogni sua parola.
I rapper di strada: Gaza, Ramallah, Jenin
Il rap in Palestina è un’arma culturale. Dai vicoli di Ramallah, ai campi profughi di Jenin, passando per le rovine di Gaza, molti giovani artisti si esprimono attraverso testi che denunciano con forza l’occupazione israeliana, le violenze, gli arresti arbitrari, l’assedio economico. Alcuni brani non lasciano spazio a interpretazioni: “Israele è un regime terrorista”, “questa è terra nostra”, “non abbiamo paura di morire liberi”.
Artisti come DAM (uno dei primi gruppi hip hop palestinesi, attivi da inizio 2000) hanno segnato la strada, seguiti da nuovi collettivi musicali underground che oggi sfuggono alla censura grazie ai social media.
Oltre il rap: la musica tradizionale e sperimentale che lotta
Ma la lotta palestinese in musica non è fatta solo di rime e beat. Artisti come Rim Banna, scomparsa nel 2018, hanno fuso la musica tradizionale araba con arrangiamenti moderni per raccontare la sofferenza del popolo palestinese. Le sue canzoni, spesso ispirate alla poesia araba classica e contemporanea, sono diventate inni di identità e di speranza.
Le Trio Joubran, tre fratelli virtuosi dell’oud (strumento a corda tradizionale), portano nel mondo un suono raffinato e profondamente emotivo.
Le loro composizioni strumentali sono colme di malinconia e dolore, ma anche di dignità e orgoglio. Hanno collaborato con artisti internazionali come Roger Waters, mantenendo sempre salda la connessione con la causa palestinese.
Mohammed Assaf, vincitore di “Arab Idol” nel 2013, ha conquistato il mondo arabo con la sua voce potente e la sua storia incredibile: partito dai campi profughi di Gaza, ha sfidato i blocchi e le restrizioni per partecipare al concorso, diventando una figura amata e seguita da milioni.
I suoi brani inneggiano alla libertà, al diritto al ritorno, all’unità del popolo palestinese. Anche nella scena elettronica troviamo figure come Sama’ Abdulhadi, una delle prime DJ techno della Palestina, che ha trasformato la sua musica in una piattaforma globale per parlare dell’occupazione e della vita sotto restrizione.
La musica come arma culturale
Che sia con un microfono, un oud, una consolle o una voce a cappella, i musicisti palestinesi continuano a lottare.
La loro arte è ostinazione, denuncia, memoria e speranza.
In un mondo che censura, mistifica e semplifica, la musica palestinese rompe lo schema della propaganda e racconta una storia autentica, viva, pulsante.
La Palestina continua la sua lotta. Anche a tempo di musica.
Valerio Arenare
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