L’ansia non nasce con i social, ma oggi trova nel digitale un amplificatore silenzioso: la sfida è tornare a sentirsi veri, non solo visibili.
Un tempo le paure avevano altri nomi: timidezza, insicurezza, “non sono bravo abbastanza”.
Oggi si chiamano ansia sociale, autostima bassa, dipendenza da like.
Ma la sostanza è la stessa: il desiderio di essere accettati, visti, capiti, rassicurati.
I giovani di oggi non sono più fragili di quelli di ieri: sono più esposti, alla visibilità costante, al giudizio continuo, alla confrontabilità obbligata.
Uno studio pubblicato su Clinical Psychological Science conferma che gli adolescenti con sintomi di ansia o depressione trascorrono più tempo sui social, ma ne ricavano meno soddisfazione e un maggiore disagio emotivo.
Sono più vulnerabili a commenti negativi, confronti esasperati, assenze digitali.
Una notifica che non arriva può far più male di uno sguardo mancato in corridoio.
A questi segnali si aggiungono oggi i nuovi rischi invisibili: sigarette elettroniche, abuso di farmaci, gaming compulsivo, gioco d’azzardo online.
Un fenomeno in crescita che riguarda ragazzi e ragazze, ma colpisce in particolare queste ultime, spesso più interiorizzanti nel dolore e meno intercettate dagli adulti.
Un report recente (fonte: Stili di Vita – ISS) lancia l’allarme su comportamenti a rischio sempre più normalizzati, sempre più silenziosi.
Negli anni ’90 ci si confrontava fuori da scuola.
Oggi si scrolla TikTok. I modelli sono sempre irraggiungibili, ma ora sono a portata di dito, 24 ore su 24. Anche chi oggi è adulto ha conosciuto l’angoscia del giudizio, la paura di non valere.
Solo che allora c’erano le radio, gli zaini pesanti, i diari segreti… e il timore che qualcuno li leggesse.
I social non sono il nemico. Vanno capiti, educati, guidati.
Per molti adolescenti sono luoghi di ricerca: di relazioni, conferme, a volte fughe. Ma il modo migliore per aiutarli è esserci. Non con frasi fatte, ma con ascolto vero, tempo condiviso parole sincere.
La fragilità non è un errore: è un linguaggio umano. Basta imparare a riconoscerlo, accoglierlo, parlarlo insieme.
Se sei un genitore, un insegnante, un amico, prova a chiedere:
“Cosa senti quando stai in silenzio?”
E poi resta ad ascoltare.
Perché quel tempo vuoto, pieno di perché, di dubbi, di confronti invisibili, può diventare un peso insopportabile, se non c’è nessuno con cui condividerlo.
Oggi, quanto sostegno reale offriamo ai nostri giovani?
E soprattutto: quanta libertà sentono di avere per chiederlo?
https://www.iss.it/stili-di-vita-e-salute-mentale-adolescenti