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    L’IPOCRISIA MORTALE DELL’IMMIGRAZIONE 

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    Art. 577-bis c.p.: un abominio giuridico e morale contro il Popolo e la Civiltà

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Impagnatiello Matteo Pio di Impagnatiello Matteo Pio
10/09/2025
in Cronaca, Cultura, Interviste, Politica, Recensioni
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Intervista a Maurizio Rossi
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(𝗘𝗱𝗶𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗮𝗹𝗹’𝗶𝗻𝘀𝗲𝗴𝗻𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝘃𝗲𝗹𝘁𝗿𝗼, 𝟮𝟬𝟮𝟱)

– A luglio 2025 è stato dato alle stampe, per conto delle Edizioni all’insegna del Veltro, il saggio “LA RIVOLUZIONE TEDESCA”. Di cosa si tratta?

Si tratta di una rilettura critica e il più possibile analitica del nazionalsocialismo, soprattutto di certi suoi aspetti. Il nazionalsocialismo fu una manifestazione politica e culturale assolutamente centrale all’interno delle dinamiche storiche e conflittuali del XX secolo, che, come sappiamo fu, il secolo dei grandi cambiamenti, dettati soprattutto dall’irruzione delle masse nella vita politica. Il secolo degli accesi e assai drammatici conflitti ideologici, delle grandi rivoluzioni che sconvolsero intere società. Un secolo vivace, estremamente fervido di nuove elaborazioni, di nuove consapevolezze, quindi di aspettative e di speranze. Un secolo importante, la cui conoscenza ci aiuta anche a comprendere meglio ciò che sta accadendo oggi.

Sono trascorsi ottanta anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, ciò nonostante il nazionalsocialismo continua ancora ad essere motivo di numerosi studi e di altrettanti approfondimenti, riuscendo ad incuriosire, ma anche ad ossessionare e turbare. Condannato in maniera definitiva e senza possibilità di appello, il nazionalsocialismo è stato presentato dalla narrazione ufficiale soltanto come un criminale e perverso distillato di odio e di stupidità.

I nazionalsocialisti dovevano essere inquadrati, per forza di cose, esclusivamente come dei criminali ignoranti e degli antisemiti forsennati. 

Eppure, anche se ricondotto ad un antisemitismo pianificato e organizzato, il nazionalsocialismo continua ad apparire ancor più incomprensibile. Anche perché la propaganda delle idee antisemite era già abbondantemente diffusa in Germania fin da prima della grande guerra del 14/18, come era anche ampiamente diffusa in tutta Europa. Pertanto, tali conclusioni non offrono risposte adeguate allo studio delle complessità che hanno caratterizzato il nazionalsocialismo, come in molti tra i ricercatori più equilibrati si sono accorti da tempo. 

La sua stessa denominazione continua a sollevare non pochi interrogativi. Sintetizzare, con nuovi contenuti, l’istanza nazionalista con l’istanza socialista non può più lasciare indifferenti. Essa costituì, indiscutibilmente, una grossa novità nella dialettica dell’epoca.

Semmai adesso la domanda da porsi dovrebbe essere un’altra. Il nazionalsocialismo fu davvero così socialista, come pretese di essere? Gli anni seguenti alla fondazione del partito per giungere ai dodici anni complessivi del regime hitleriano, poterono giustificare l’adozione di questa connotazione socialista così specifica? D’altronde, gli stessi nazionalsocialisti si definirono tali, anzi ci tennero a dichiarare di essere gli unici sinceri socialisti legati alle sorti dei ceti sociali più popolari e più disagiati, lo proclamarono con veemenza, lo scrissero, si adoperarono poi per tradurre quelle istanze socialiste in ogni aspetto della vita del popolo tedesco e dare così un significato positivo alla loro rivoluzione tedesca.

Con il presente saggio ho cercato di offrire delle differenti chiavi di lettura sulla natura del nazionalsocialismo da quelle consuete, partendo dagli anni precedenti alla presa del potere, e di dare delle risposte a questi interrogativi, facendo proprio riferimento alla loro idea della comunità di popolo, alla loro concezione del socialismo tedesco e ai legami che instaurarono con i lavoratori, con i contadini e con la gioventù, fino alla loro particolare visione biopolitica del popolo e della razza.

– Possiamo menzionare altre sue pubblicazioni?

Volentieri. La Comunità militante Raido ha pubblicato in quaderni alcuni miei brevi saggi. Sono apparsi poi miei scritti in alcune miscellanee. Ho avuto anche il piacere di poter scrivere introduzioni e postfazioni a corredo di molti testi storici e politici pubblicati da varie case editrici, che in questa sede voglio ricordare e ringraziare: l’Editrice Thule Italia, l’Edizioni Ritter, Il Cinabro Edizioni, le edizioni Passaggio Al Bosco, le edizioni Effepi, Le Vele Nere Edizioni. 

– Nazionalsocialista e/o nazista: c’è differenza tra i due termini?

La domanda è quanto mai pertinente. Purtroppo ancora oggi sono in pochissimi a porsela, la maggior parte preferisce continuare adeguarsi al linguaggio corrente.

Ebbene sì. C’è una enorme differenza, soprattutto interpretativa, fra questi due termini. Utilizzarne uno al posto dell’altro fa la differenza, può modificare in maniera sensibile il discorso in oggetto. Innanzitutto si tratta di una storpiatura linguistica, di una contrazione sgradevole, priva di un significato qualificante.

Ma dove si colloca la differenza? Giusto per capirsi, si tratta della sostanziale differenza che separa un prodotto unico e originale dalla sua brutta e volgare contraffazione. Attorno all’utilizzo strumentale dei termini nazismo/nazista nel corso dei decenni sono state volutamente costruite delle mitologie che pur riproducendo certe simbologie niente hanno avuto a che vedere, in idee e contenuti, con il nazionalsocialismo storico e con le sue dinamiche politiche e culturali. Basterebbe, per esempio, soltanto soffermarsi sulle parodie esibizionistiche che hanno contraddistinto in certi anni negli USA i cosiddetti “nazisti dell’Illinois”, che tanto fiato hanno dato ad una certa cinematografia hollywoodiana, per comprendere certe mistificazioni create ad arte.

In sostanza: il termine di nazionalsocialismo fa riferimento, in maniera del tutto normale, ad una concezione del mondo coerente e logica che individua i propri parametri interpretativi in precise coordinate ideologiche e valoriali; mentre il termine nazismo trova i propri riferimenti in forme caricaturali, del tutto depotenziate a livello culturale, dove viene privilegiata la negatività, anche espressiva, rispetto alla positività dei contenuti.

Inizialmente, già durante la repubblica borghese di Weimar, furono proprio i propagandisti marxisti, applicando precise direttive di Mosca, ad iniziare ad utilizzare il termine di “nazismo”. Lo fecero per effetto di un calcolo propagandistico che consisteva nell’evitare di dover pronunciare la denominazione completa di nazionalsocialismo. Era sgradevole per loro dover affrontare un concorrente così tenace per di più sul loro stesso terreno: quello delle lotte socialiste per i lavoratori. Con il tempo, preferirono parlare direttamente di “fascismo tedesco”, altra formula del tutto non applicabile al nazionalsocialismo.

Sarà nel secondo dopoguerra che il concetto di “nazismo” troverà la sua piena legittimazione anche attraverso una certa narrazione storiografica e giornalistica che utilizzerà la qualifica di “nazista” per spiegare a livello umorale ed epidermico qualunque orripilante nefandezza che avvenisse nel mondo. Il nazionalsocialismo, il grande sconfitto della Seconda guerra mondiale, si trova perciò trasformato, attraverso la formula del “nazismo”, in una schizofrenia psicopatologica. Di conseguenza, qualunque regime abbietto e repressivo nel linguaggio comune diventa automaticamente “nazista”. Certi comportamenti, indubbiamente abominevoli, vengono subito etichettati come “nazisti”. Poco importa che tutto ciò non abbia alcuna rispondenza reale con il nazionalsocialismo e con il suo complesso di idee. Questo non interessa a nessuno.

Prendiamo per esempio le drammatiche sofferenze in cui versa la stremata popolazione palestinese nei territori occupati della Cisgiordania e soprattutto a Gaza, ebbene il feroce sterminio in corso viene definito dagli stessi sostenitori della causa palestinese come una “pratica nazista”.

La stessa entità sionista viene qualificata spregiativamente come uno “Stato nazista”.

Ma sono parole, assolutamente scollegate da qualsiasi realtà storica.  

– Nel libro, lei scrive di “europeismo nazionalsocialista che indusse tante anime irrequiete, di differenti nazionalità, a battersi per l’unificazione europea”. Vuole dirci di più? E’ un accostamento forzato quello con il progetto politico del pensatore belga Jean Thiriart?

Sì. Proprio così. È esistita una precisa volontà di provenienza nazionalsocialista rivolta all’unificazione dell’Europa. Vi dedico appunto un capitolo del saggio. Poiché, anche in quel caso, emersero delle proposte e dei progetti particolarmente interessanti che investivano globalmente questioni sociali, politiche, economiche e culturali. Il cosiddetto: nuovo ordine europeo. Si arrivò perfino a parlare di “socialismo europeo”, un socialismo che avrebbe dovuto adattarsi alle varie particolarità europee per non creare scompensi o fratture.

Indubbiamente non si trattò di un discorso facilmente digeribile nemmeno per i tedeschi. Almeno non per tutti i tedeschi. Il dibattito interno ai settori politici della Germania, strutture di partito e organizzazioni collegate, ambienti militari, diplomatici e organismi culturali, fu intenso, non privo di polemiche e di incomprensioni. Ancora il pangermanesimo con tutto il suo sciovinismo reazionario era presente e diffuso. Ma alla fine venne sconfitto.

Non dimentichiamoci che durante l’Operazione Barbarossa era stato distribuito alle truppe tedesche una vergognosa pubblicazione intitolata “Der Untermensch”, esprimente giudizi estremamente pesanti nei confronti della popolazione slava. Insomma, non fu proprio il loro miglior biglietto di presentazione. La pubblicazione verrà poi ritirata, avendo constatato gli effetti dannosi e controproducenti che aveva provocato.

Nonostante certe opposizioni, il discorso sull’unità europea prese definitivamente piede a livello propagandistico e con idee abbastanza precise. Ovviamente la Germania rivendicava un ruolo di guida e di orientamento, una presa di posizione inevitabile e anche comprensibile. D’altronde, ci avrebbe potuto contestarglielo?

Quale forma avrebbe assunto questa nuova Europa coordinata dalla Germania? Si parlò espressamente di una nuova Europa dei popoli e delle etnie, unita e socialista. Un grande spazio geopolitico di potenza, consapevole del proprio peso e della propria forza.

E tutto ciò raccolse il plauso di molti sostenitori, accesi europeisti, ben oltre le frontiere della stessa Germania, lo stesso “modello tedesco” venne portato a esempio, suscitando molte aspettative. Il fenomeno della collaborazione intellettuale e militare degli europei è stato molto più vasto di quanto comunemente si possa credere. Le testimonianze e i resoconti non mancano.

Riguardo invece alla figura straordinaria di Jean Thiriart non parlerei di forzature. Volendo, certi accostamenti si possono anche fare. Ma le differenze ci sono. Il progetto politico di Thiriart, che con il passare degli anni si era ulteriormente arricchito rispetto a quello iniziale, aveva delle proprie caratteristiche non proprio assimilabili con quelle del nazionalsocialismo. Ovviamente parliamo del nazionalsocialismo del periodo di guerra. Comunque certe similitudini si possono riscontrare. Tra queste: la necessità dell’unità europea, una particolare attenzione al mondo arabo e il sostegno alla causa palestinese, il rigetto dei propositi imperialistici extraeuropei, sia a livello militare, sia a livello economico, sia a livello culturale, la condanna degli USA nella loro interezza. Per il resto, ripeto, le differenze sono tante e meritano di essere studiate.

– La storia è scritta dai vincitori: accade anche per quanto lei espone ne “LA RIVOLUZIONE TEDESCA”?

Senza ombra di dubbio. Da sempre i vincitori riscrivono le vicende storiche a loro uso e consumo. Non c’è da scandalizzarsi, rientra nella logica delle cose. Lo avrebbe fatto anche la Germania, qualora avesse vinto la guerra. La Storia non è mai stata neutra, la neutralità raramente appartiene all’analisi storica. Possiamo sempre confidare in letture il più possibile equilibrate.

Con il mio saggio ho voluto gettare un sasso nello stagno. Sono altresì consapevole che la narrazione dominante non potrà mai accettare le chiavi di lettura presenti ne “La Rivoluzione Tedesca”, essendo particolarmente scomode. Infatti, il compito della controinformazione storica consiste proprio nel rompere gli schemi prefissati per consentire l’espandere delle coscienze critiche. Un primo passo per giungere al contropotere culturale. 

Matteo Pio Impagnatiello

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