Sono grande, lo so, ma nonostante la mia età anagrafica ho sentito il desiderio di scriverti questa mia lettera, perché vorrei ritornare per un poco bambino, provare nuovamente quella sensazione di puro eccitamento quando ognuno di noi prendeva un foglio di carta e con la matita o la biro tra i denti, assorti nel pensiero di che cosa chiederti tra gli infiniti mondi di desideri, quel leggero formicolio cresceva dentro noi bambini, ci invadeva e correva lungo tutta la schiena, partiva dal basso fino ad arrivare all’altezza del cuore, da lì si divideva e prendeva la forma di una biforcazione, come una ‘y’, i cui rami andavano a raggiungere due punti distinti del corpo: il primo ramo, quello di sinistra, proseguiva in alto, attraversando il collo che, stimolato da quella scossa, si lasciava scuotere dalle vibrazioni, e poi, infine, arrivava fino alla testa, dove si espandeva sopra tutta la superficie fino all’estremità delle punte dei capelli che si elettrizzavano; il secondo ramo, invece, quella zampetta di adrenalina, attraversava il torace di traverso, perpendicolare all’asse verticale del corpo fino al cuore, provocando quello stato di agitazione unico: un batticuore natalizio.
Sì, poiché quella sensazione era ed è di esclusiva proprietà del Natale, e di nessun’altra occasione; ogni momento, ogni circostanza detiene le proprie emozioni, le proprie sensazioni, nessuna di quelle è uguale, sono tutte diverse tra loro; certo, spesso, quando non sappiamo come descrivere quella viva sensazione che viene suscitata da qualcosa, ci rivolgiamo al nostro dizionario delle situazioni che la nostra esperienza ha accumulato nel tempo e che ha riordinato in un lungo elenco, che con le dita sfogliamo e con l’indice scorriamo le voci alla ricerca di quella situazione che sappiamo essere in grado di suscitare un’emozione simile, ma non uguale, non identica, dal momento che se le emozioni fossero per la maggiore parte identiche o addirittura tutte confezionate alla stessa maniera, allora ogni istante perderebbe la sua unicità. Ed è grazie alla loro disuguaglianza che il Natale contiene e preserva la sua singolarità, il suo essere eccezionale.
Ma che cos’è singolare del Natale? Beh, potrei scriverti, per esempio, che una sua peculiarità è la felicità che un omone come te, vestito di rosso, tondeggiante e paffuto nel volto, punteggiato da due gote rossastre e incorniciato da una folta barba candida come la neve che ricopre la sua casetta di legno in Lapponia, sia in grado di regalarci la gioia di un dono che lascerà sotto l’albero verdeggiante e addobbato di luci e colori, un signore dall’aspetto paterno, dolce e confortevole nel sorriso che, percorrendo l’intero globo, riesce a ritagliare un’infinitesima parte del suo tempo al nostro desiderio, a quella speranza di trovare un dono al risveglio il mattino dopo.
Era una sensazione stupenda e crederci era meraviglioso. Ma quella trepidante attesa non è svanita, è cambiata, si è trasformata nel momento in cui siamo diventati adulti, dei bambini più grandi mi verrebbe da dire, che ancora sono capaci di fremere di fronte alla festività del Natale, pur sapendo che non sarai tu, Babbo Natale, ad attraversare il mondo in lungo e in largo per lasciarci un regalo sotto quell’albero che ogni anno prepariamo con tanta cura.
Da bambini più grandi quali siamo diventati, la nostra percezione del Natale è diversificata, una volta saltato quel gradino la nostra consapevolezza è cambiata, la bellezza del Natale adesso risiede anche, e soprattutto, in quella magica atmosfera tanto immateriale quanto presente e percepibile al tatto che viene a crearsi la sera della vigilia, è un profumo che si sente nell’aria, che innervosisce le narici, le stuzzica; è la consapevolezza che quella sera saremo in attesa dello scoccare della mezzanotte, pronti a festeggiare insieme ai nostri cari, in compagnia delle persone a noi più strette, e con il pensiero rivolto anche a chi non potrà essere tra noi e chi c’è stato e non ci sarà più, perché anche questo è Natale, quel Natale passato di Charles Dickens, dove le figure dei nostri i cari che vivono dentro di noi si uniscono a noi in quel clima di quiete e di pace.
Il Natale, per chi è cresciuto, ripeto, per chi è diventato un bambino grande, diventa l’occasione per ritrovare la serenità, un momento di piacevoli pensieri come capita in poche occasioni; capaci di dedicarci a noi stessi e a chi vogliamo bene, a chi desideriamo, in un vuoto spazio-tempo dove il tempo stesso sembra aver deciso improvvisamente di rallentare, di congedarsi anche lui per un po’ dal mondo, da questa nostra società, invasa dalla frenesia, dall’accelerazione costante, dal caotico rumore che è tutto fuorché musica, che non è niente se non confusione interiore dell’individuo.
E la meraviglia del Natale sta proprio nel potere di questa festa, nella sua autorità di imporre a questa società, almeno una volta, di sottostare alla sacralità del Natale, obbligandola a fermarsi, obbligandola ad arrestare gli ingranaggi di questo tritacarne, anche se si tratta di poche ore o di una manciata di minuti; fermi e immobili, con la mente rivolta alla nascita di quel bambino in quella mangiatoia, lì, sdraiato, nel tepore della paglia dorata sotto il riflesso dei pochi lumi che illuminano quello spazio così umile e così intimo, tra gli sbuffi d’alito dell’asinello e del bue, a guardia di quella creatura e dei suoi genitori. Il pensiero si alza in cielo e vola lì, e poi fugge, arriva oltre e si deposita sopra ogni singola persona a cui vogliamo bene e che vorremmo fosse lì assieme a noi, ancora una volta, per rivederla.
Ecco, per finire, caro Babbo Natale, vorrei che quest’anno ognuno di noi possa assaporare questo immenso piacere che la nascita di quel bambino, che questa festa di Natale riescno ancora a regalare, e che possano essere un momento di raccoglimento felice e di condivisione con chi c’è e con chi non ci sarà.
Grazie.
Riccardo Giovannetti
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Vorrei il Natale fosse veramente questo. Una lode e un ri-trovarsi insieme ai nostri cari. A chi ci ama e amiamo. Invece non è così. A volte si ama tanto. Senza esser ricambiati. O viceversa. E a Natale questa unicità pesa ancor di più.
Bello quello che hai scritto. Sa ancora di favola bella,
“ che ieri
t’illuse, che oggi m’illude…di D’Annunziana Memoria