Aleksandr Solženicyn si sgolò, negli ultimi anni della sua vita, per denunciare l’Occidente quale “sistema della menzogna”. Un plateale conferma in questi giorni: Trump afferma che Zelensky è un dittatore che ha provocato la guerra e i russofobi leader europei lo accusano di mentire.
Eppure Trump dice la verità e a mentire sono gli europei e i media compiacenti. L’Ucraina è una dittatura dal 2014 quando, con il golpe di Maidan del febbraio 2014, il legittimo presidente ucraino Viktor Janukovyč, moderatamente filorusso, venne defenestrato da un sanguinoso colpo di stato finanziato da agenzie statunitensi e da alcune organizzazioni non governative facenti parte della galassia eversiva di George Soros.
Il nuovo governo filoccidentale, non legittimato da alcuna elezione, iniziò una feroce azione di repressione di tutte le espressioni politiche, mediatiche, civili e culturali di quella parte dell’opinione pubblica russofona (il 40% della popolazione ucraina), russofila o semplicemente russa, come tutta la parte est e sud dell’Ucraina, la cosiddetta Novorossija, che comprende, tra altre regioni, Odessa, il Donbass (il Donetsk e il Lugansk), “cedute” all’Ucraina in periodo bolscevico, mentre la Crimea, liberata dai russi nel 1784 dal feroce dominio dei tatari musulmani venne “regalata” all’Ucraina da Krusciov.
Maidan
Inoltre è incontrovertibile il mancato rispetto, da parte degli USA e della NATO, degli accordi del 1991 quando, in cambio dell’assenso di Mosca alla riunificazione della Germania, l’Allenza atlantica s’impegnò a non espandersi ad est. Sappiamo come è andata a finire: con l’estensione della NATO a quasi tutti i paesi est-europei, sino ad arrivare “ad abbaiare alle porte della Russia”, con l’imperialistico intento aggressivo di strangolarla.
Subito dopo il golpe atlantista del 2014, iniziò una campagna di assassinii di oppositori al regime: scrittori, intellettuali, giornalisti, deputati al parlamento, magistrati accusati di essere russofili. Solo nel biennio 2014-2015 sono stati accertati ufficialmente le uccisioni di settantacinque oppositori al regime.
Odessa 2014
E pochi ricordano il pogrom di Odessa del 2014, quando bande di nazionalisti ucraini si diedero a una feroce caccia al russo per le strade della città che fece almeno cento vittime di cui una cinquantina (o forse più, non si saprà mai) bruciate vive nel Palazzo dei Sindacati in cui si erano riparate e a cui le bande nazionaliste diedero fuoco.
Contemporaneamente partiva un crudele programma di eradicamento della cultura russa in tutte le regioni: divieto di uso della lingua russa, insegnamento scolastico solo in ucraino, Circa 115.000 libri in russo tratti dalle biblioteche pubbliche sono stati bruciati in pubblici falò. E quando le regioni russofone dell’est, il Donetsk e il Lugansk, si ribellarono rivendicando l’autonomia, la risposta dell’Ucraina fu la guerra contro le due regioni: bombardamenti massicci su obiettivi civili, come mercati e ospedali, arresti e uccisioni indiscriminati, assassinii di amministratori locali. Eppure, di questi massacri di cui si è reso colpevole il regime ucraino, dimostrati con prove, fotografie, testimonianze e persino accertati in un report ufficiale dell’ONU (che pure minimizzava il numero delle vittime russe, che furono tra le 14.000 e le 20.000), molto poco è comparso sulla stampa mainstream.
Gli accordi di Minsk
Poi gli accordi di Minsk 1 e 2, che avrebbero dato garanzie ai russi del Donbass circa la loro autonomia e la loro cultura: mai rispettati da Kiev. Con spudorato candore Angela Merkel ammise che erano stati sottoscritti “per consentire all’Ucraina di prendere tempo”. Una menzogna, insomma: ecco l’Europa dei valori.
Volete una credibile documentazione sulla sanguinaria oppressione dell’Ucraina nel Donbass? Da leggere: F. Bovo, M. Greco, A. Lattanzio, Battaglia per il Donbass, Anteo Edizioni; AA.VV. Donbass, edito da Passaggio al Bosco; Vittorio Nicola Rangeloni; Donbass. Le mie cronache di guerra; Idrovolante edizioni; Enrico Vigna, Ucraina, Donbass. I crimini di guerra della giunta di Kiev, Zambon Editore, testo terribile, questo per le foto dei massacri ucraini.
Struggente il volume fotografico del bravissimo fotoreporter Giorgio Bianchi, Donbass Stories. Otto anni di guerra civile in Ucraina, da Maidan ai giorni nostri. Edito da Meltemi.
Partiti fuorilegge
Ci ricorda, in un’intervista, lo storico Franco Cardini: “Hanno cominciato a uccidere le persone dopo averle accusate di collaborazionismo. I russofoni del Donbass presi casa per casa e passati per le armi”.
Zelensky, eletto nel 2019 con un programma moderato e non smaccatamente antirusso, continuò invece nel tentativo di genocidio dei russi del Donbass, poi mise fuori legge almeno 11 partiti, chiusura di giornali, televisioni e radio considerate filorusse anche se alcune erano solo di opposizione. Non è dittatura, questa? Con lui continuò la politica di assassinii di oppositori. Non solo: s’inasprì l’aggressione contro i russi del Donbass, che chiesero aiuto alla madrepatria. E iniziò l’Operazione Militare Speciale. Ma furono gli ucraini, fu Zelensky ad iniziare la guerra con il tentato genocidio dei russi. Mediato da Erdogan, si giunse poi a un accordo per il cessate il fuoco. Allarmati, i guerrafondai russofobi d’Europa, e in particolare Boris Johnson, fecero fortissime pressioni, minacciando Zelensky, perché quell’accordo venisse stracciato. E Zelensky obbedì. Ancora una volta fu lui a causare il proseguimento del conflitto.
La persecuzione della Chiesa
Così come troviamo poche informazioni, sui media mainstream, della persecuzione della Chiesa Ortodossa scatenata dal regime di Kiev: chiese e antichi monasteri violati ed espropriati, membri del clero arrestati e incarcerati, vescovi, sacerdoti e semplici fedeli aggrediti e percossi. In Ucraina, “bastione della democrazia”, la libertà di culto è gravemente conculcata.
Incapace di vincere sul campo, l’Ucraina ha scatenato una guerra asimmetrica di natura terroristica, con assassinii anche al di fuori dei confini, oltre che attacchi ai treni e a strutture civili. Infiltrati hanno colpito anche in Russia, uccidendo intellettuali, giornalisti, scrittori. Nessuno in occidente si è indignato del brutale assassinio della giovanissima Darya Dugina, figlia del noto filosofo e politologo Alexander Dugin, anche lei filosofa, giornalista, poetessa e musicista.
Non solo l’Ucraina usa l’assassinio politico come forma di lotta, ma se ne vanta: Kyrylo Budanov, capo dei servizi segreti di Kiev ha dichiarato: “continueremo a uccidere russi nel mondo”, rivendicando orgogliosamente anche l’uccisione di “molti giornalisti propagandisti russi”. E’ da ricordare l’assassinio, in un carcere ucraino, del giornalista di nazionalità americana e di origine cilena Gonzalo Lira, arrestato dei servizi ucraini con l’accusa di aver criticato il presidente Zelensky. Un delitto di opinione. Eppure l’amministrazione USA non si è mossa per liberarlo. Ha denunciato il padre: “Non posso accettare il modo in cui mio figlio è morto. E’ stato torturato, tenuto in isolamento per 8 mesi e 11 giorni e l’ambasciatore statunitense non ha fatto nulla per aiutare mio figlio.” Anche su questo caso è calato il quasi totale silenzio dei media atlantisti e russofobi.
Non è dittatura, e delle peggiori, questa?
Contro i collaborazionisti
Contemporaneamente i servizi segreti ucraini, addestrati da USA e Gran Bretagna hanno iniziato una feroce campagna contro i cosiddetti “collaborazionisti”, cioè russi della Crimea, del Donbass, di Odessa e di altre regioni russofone. Per gli sgherri di Zelensky, sarebbero “collaborazionisti” tutti i russi d’Ucraina che vogliono continuare a parlare russo, frequentare scuole in lingua russa, leggere libri e giornali in russo, ascoltare radio e televisioni russe e che hanno votato in liberi referendum perché le loro “piccole patrie” venissero annesse alla Madre Russia.
Gli assassinii e gli attacchi terroristici che hanno come obiettivi “collaborazionisti” vengono non solo ammessi, ma sono anche motivo di vanto dei servizi. Riferisce l’Adnkronos nel marzo scorso di alcune dichiarazioni di Vasyl Malyuk, alto ufficiale dei Servizi di sicurezza (il famigerato SBU): “Ufficialmente non lo ammetteremo”, ma poi confessa che “moltissime” persone, “collaborazionisti”, amministratori locali nei territori liberati delle Repubbliche del Donetsk e del Lugansk o comunque filorussi in tutta l’Ucraina sono state vittime della campagna terroristica dei servizi di Kiev.
Inoltre sono migliaia i detenuti per “collaborazionismo” in Ucraina, spesso in condizioni terribili. Ne hanno parlato persino media russofobi come RaiNews (“Collaborazionisti in Ucraina. Pene severe e carceri piene”) o il quotidiano ultra-liberal e atlantista britannico The Guardian che è riuscito ad entrare in alcune carceri segrete ucraine dove sono detenuti, e soggetti a trattamenti inumani, uomini e donne colpevoli di aver collaborato con i russi o con le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk ma anche, semplicemente, di essere russi e di voler continuare ad esserlo.
La caccia ai russi
Persone quasi sempre arrestate dopo che questi territori sono stati rioccupati dalle truppe ucraine che, come primi atti, si sono dati alla caccia ai russi colpevoli di aver collaborato con i loro compatrioti liberatori. Spesso, scrive The Guardian, le confessioni sono state estorte con torture (“They had been pressured in signing confessions”). Secondo il quotidiano britannico, che cita i servizi di sicurezza ucraini dello SBU, gli imprigionati sarebbero 8.100, ma la cifra è chiaramente falsa per difetto. Le condanne continuano: anche nel mese di marzo 2024, riferisce LaVerità, altri quattro filorussi sono stati incriminati e condannati a ben 15 anni di carcere per un indeterminato “collaborazionismo”.
La persecuzione contro i russi non è soltanto attuale, ma veniva pianificata anche per il futuro. Con una stupefacente spudoratezza che va molto al di là del semplice wishful thinking, visto l’andamento del conflitto, Kiev aveva già annunciato il destino dei russi di Crimea (cioè di tutti gli abitanti, salvo un’infida e rumorosa piccola minoranza di tatari musulmani) dopo una ben poco credibile futura “liberazione” della penisola: il regime ha nominato tale Tamila Tasheva, non per nulla di origine tatara, come “regista” della gestione della Crimea dopo l’improbabile riconquista ucraina. Costei aveva già promesso la “punizione” di almeno 10.000 “collaborazionisti”, epurazioni di massa e persino una “espulsione forzata” di un numero tra i 500.000 e gli 800.000 russi.
Le retate degli arruolatori
Tra l’altro, l’Ucraina ha sospeso la sua adesione alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Quindi sono sospese la libertà di movimento, l’inviolabilità delle case, la libertà di pensiero e di parola. Sospesi da tempo anche i diritti consolari degli ucraini fuggiti dal paese per evitare l’arruolamento forzato per una guerra che molti ucraini non sentono; la polizia ucraina effettua delle vere e proprie retate nelle strade per rastrellare reclute che, senza addestramento sufficiente, vengono inviate al tritacarne del fronte. Sono milioni gli ucraini fuggiti in Russia (sì, dal “nemico”) o nei paesi europei per evitare di essere arruolati a forza.
L’arroganza del regime di Zelensky non rispetta confini, sovranità degli Stati e diritti civili. L’autocrate di Kiev a febbraio 2024 ha promesso di inviare al governo italiano (copia anche alla Commissione Europea) una “lista di proscrizione” di intellettuali, giornalisti e in generale esponenti della società italiana che il l’ex comico dittatore considera “filorussi”. L’ordine è perentorio: l’Italia deve (è letterale) “zittirli”. Forse pensa a sistemi come quelli da lui usati per silenziare le opposizioni ucraine: assassinii, carcerazioni, torture?
Ha ragione Trump
Ciò che è stupefacente è stata l’assenza di qualsiasi sussulto di dignità da parte delle autorità italiane: non una reazione di indignazione e di protesta da parte di Giorgia Meloni né da parte del Ministro degli Esteri, Antonio Tajani (quello che, intervistato, sembra capitato lì per caso). Anche la stampa italiana mainstream, cioè quasi tutta, non ha dedicato grande spazio alla gravissima intimidazione del satrapo di Kiev.
E questa non sarebbe dittatura? Ha ragione Trump: Zelensky ricopre la carica di presidente illegittimamente, essendo scaduto da quasi un anno. Ci vogliono nuove elezioni, ma in un clima di libertà. I partiti che sono stati banditi dal dittatore devono essere di nuovo consentititi, gli oppositori liberati dalle galere, di nuovo ammessa la stampa libera. Solo così l’Ucraina potrà definirsi nuovamente “democrazia”.
Sì, ha ragione Trump e mentono i leader europei: Zelensky è un dittatore, è illegittimamente al potere e la guerra l’ha scatenata lui.
Antonio de Felip
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Be’ che dire… complimenti per la perfetta esposizione e. I media italiani sono vergognosi: forse anche loro hanno paura delle ritorsioni ucraine.