Finalmente è arrivato Carnevale…feste, carri, mascherine.
Potrai vedere tra le strade, tra coriandoli e stelle filanti passeggiare allegramente Pulcinella e Pantalone, Balanzone che discute con Rugantino, Arlecchino e Brighella che fanno il filo a Colombina, Fagiolino che fa i dispetti a Farinella, Gianduia e Giacometta che si tengono per mano, Gioppino e Giangurgolo che si azzuffano, Meneghino e Meo Patacca che bevono insieme un bicchiere di vino, Mezzettino e Scaramuccia che cantano per Rosaura, Mosciolino che si vanta con Peppe Nappa e Sandrone della sua straordinaria giornata pesca.
I più fortunati potranno ammirare sfilare i Mamuthones con i loro campanacci e a seguire un allegra marcia dove puoi scorgere Bartoccio, Burlamacco, Capitan Spaventa, l’elegante Florindo, Scaramuccia, Tartaglia, la maliziosa Corallina e tanti altri … ovunque si vedono colori, ovunque si avverte una sensazione di gioia e spensieratezza…
Non vedo l’ora di scendere in piazza e farmi avvolgere da questa stupenda atmosfera.
Dove sono Pulcinella e Arlecchino?
Ma cosa accade? Le strade sono vuote, non ci sono coriandoli, e le stelle filanti? Vedo qualche bambino in costume vestito da Spiderman o Capitan America, qualche bambina vestita dalle protagoniste di Frozen… e Pulcinella? Arlecchino? Dove sono Pantalone e Colombina?
Nessuno, nessuno di loro festeggia oggi. Nessuno di loro sfila allegramente oggi; Probabilmente nessuno le ricorda, probabilmente in molti nemmeno le conoscono. Eppure fanno parte della nostra tradizione, sono state protagonista delle nostre commedie teatrali, sono state protagoniste dei racconti delle nostre nonne quando eravamo bambini, sono il simbolo ed orgoglio di città e Regioni Italiane, sono parte importante della storia del nostro Paese!
Eppure sono finite nel dimenticatoio, hanno perso la loro luce, così come anche i colori del carnevale sono ormai sbiaditi. Il caro Carnevale vecchio e pazzo che portava in piazza a festeggiare centinaia di migliaia di Italiani in ogni città, in ogni paese è diventato ormai un ricordo di un passato più semplice, meno sfarzoso, ma sicuramente più allegro. Ormai i bambini lo confondono con Halloween dove, al contrario di carnevale, si mascherano tutti grandi e piccini pur non essendo la nostra tradizione, la nostra storia.
Le maschere della tradizione
Le poche maschere in giro, supereroi e personaggi di cartoni animati americani o manga giapponesi, sono la rappresentazione di quanto siamo attratti dalla moda, dall’apparire, del essere esterofili a tutti i costi dimenticando che Pulcinella e Arlecchino non sono solo maschere ma racchiudono in se storie, aneddoti, momenti di gioia, momenti di aggregazione di chi ci ha preceduto ed è nostro dovere trasmetterli a chi verrà dopo di noi.
Dovrebbero essere fatte conoscere ai bambini nelle scuole, dovrebbero dedicargli libri, dovrebbero essere preservate così come si preserva un opera d’arte, un monumento perché sono opere d’arte! Quando ero piccolo, ormai molti decenni fa, il Carnevale si aspettava come un avvenimento unico, irripetibile, ci preparavamo un mese prima per effettuare il giro delle abitazioni del paese.
Il mio era uno dei cosidetti “comuni depressi” dove tante famiglie non avevano grosse possibilità di acquistare i costumi per il carnevale e allora si ci ingegnava: una giacca extralarge di velluto del papà, la “coppola” e la “croccia” del nonno (nel mio dialetto il bastone usato da chi aveva difficoltà nella deambulazione o dagli anziani – spesso era costruito artigianalmente intagliando, personalmente da chi lo avrebbe usato, il legno ), uno scialle della mamma, qualche nastrino e la maschera era fatta.
Le recite scolastiche
Di sera tutti in giro per il paese a bussare alle porte ed i nostri compaesani erano ben lieti di farci entrare in casa (a dir il vero non tutti…) e una volta dentro iniziava un vero e proprio spettacolino, chi recitava la poesia del Carnevale di Gabriele D’annunzio, chi qualche strofa della recita scolastica fatta in occasione di quel giorno (ai miei tempi, altra tradizione persa per colpa di assurdi motivi di integrazione o per, ancor più assurde, parità di generi o cavolate simili, facevamo recite scolastiche, cori, rappresentazioni per ogni ricorrenza:
Natale, Pasqua, Festa del Papà, festa della Mamma e non poteva mancare la giornata delle rappresentazioni e dei canti del Carnevale), i più organizzati suonavano con il flauto il Carnevale di Venezia tema melodico molto diffuso nell’ambito della tradizionale popolare fin dall’800 e sul quale Paganini aveva elaborato le sue Variazioni per violino (secondo Edward Neill, biografo del celebre violinista, avrebbe una primogenitura colta poiché sarebbe stato composto da Giovanni Cifolelli in una contradanza del 1746 intitolata La Cifolella) e che in nostri insegnanti di musica ci “obbligavano” ad imparare a suonare.
E poi c’erano i “Top di gamma” che suonavano la fisarmonica, qualche tamburello e, alcuni, anche la ciaramella (considerato uno strumento tipicamente utilizzato nel periodo natalizio insieme alla Zampogna, ma nel mio paese era uno strumento da usare in tutte le occasioni) e mentre questi ragazzi suonavano canzoni popolari altri improvvisavano una tarantella creando una vera e propria festa in quella casa.
In cambio di quelle esibizioni di pochi minuti ricevevamo caramelle, cioccolatini ma anche pezzi di pane con la “sopressata” o con il caciocavallo o con la salsiccia secca e, cosa che oggi farebbe urlare allo scandalo, non era raro che ci venisse offerto un bicchiere di vino rosso paesano.
Una festa per bambini
Una sorta di Hallowen paesano, solo che al posto di “dolcetto o scherzetto” noi avevamo “salsiccia o balletto”, meno americano (meno male) ma sicuramente più divertente.
Ma vestisti a Carnevale non era per tutti, c’era un limite, si poteva andare in giro travestiti per abitazioni solo finché non completavi la terza media (indifferentemente se eri o meno ripetente), poi diventavi “grande” e non potevi più vestirti da mascherina ma solo fino al giorno del martedì grasso quando grandi e piccini si ritrovavano di giorno in piazza a sfilare con le maschere e a recitare i “mesi” (filastrocche che ricordano i mesi dell’anno) e poi di sera a portare il pupazzo che rappresentava “Vavo” morente in processione (Vavo sarebbe il Nonno o il vecchio nel mio dialetto ma, in quei giorni, usato per indicare il Carnevale come se fosse un anziano alla fine dei suoi giorni), con tanto di vedove inconsolabili a seguito, fino alla piazza principale dove il pupazzo veniva bruciato e da quel falò iniziavano “Le Ceneri” e noi tornavamo a casa malinconici perché quei giorni di allegria erano finiti e dovevamo aspettare un altro anno per poterli rivivere sperando, magari, che l’anno dopo, avremmo potuto acquistare o nostra madre avrebbe potuto cucirci un costume da Pulcinella o Arlecchino.
Ridatemi Carnevale
Anche quest’anno Carnevale è finito, torno a casa malinconico ma non perché i giorni di festa sono finiti, ma perché quella non è più la vera festa di Carnevale, non è più la mia festa e forse non lo sarà mai più.
Concludendo, Dopo questo lunghissimo articolo che spero abbiate avuto la pazienza di leggere, la sintesi non è una mia dote, nella speranza di non avervi annoiato, mi sento di concludere in un solo modo, con un appello: “Ridatemi Carnevale, ridatemi Pulcinella ed Arlecchino…ridatemi le tradizioni del nostro Paese!”.
Valerio Arenare
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