Il video della giudice Sarah Levine che piange per il suo licenziamento, insieme ad altri 16 procuratori coinvolti nei casi del 6 gennaio, mette in luce una significativa crepa nel fronte “anti-Trump” e nella strategia del Partito Democratico. L’emozione della Levine, assistente procuratore degli Stati Uniti nella squadra d’accusa del Campidoglio, è palpabile mentre descrive lo smantellamento di un sistema che riteneva essenziale per la giustizia e la sicurezza di Washington. Questo licenziamento di massa, avvenuto dopo che il nuovo procuratore ad interim, Ed Martin, è subentrato a seguito delle mosse di Donald Trump, rappresenta un colpo inatteso per chi ha sostenuto la linea dura contro i partecipanti al 6 gennaio.
Stati Uniti ma divisi
Il nocciolo della questione, e ciò che il video e le reazioni evidenziano, è una profonda divisione dell’opinione pubblica. Da un lato, abbiamo i media e gli attivisti democratici, che si schierano con la Levine e vedono questi licenziamenti come un indebolimento della giustizia e della sicurezza, interpretando la mossa di Trump come un tentativo di minare il sistema giudiziario. Dall’altro lato, c’è una parte del popolo, in particolare i sostenitori dei “J6” (i partecipanti al 6 gennaio), che percepiscono questi licenziamenti come un’azione giustificata, un tentativo di porre fine a quella che considerano una vera e propria persecuzione politica voluta dal Partito Democratico per neutralizzare l’influenza di Trump. La loro visione è che la giustizia sia stata strumentalizzata a fini politici.
La narrazione che emerge è chiara: la strategia democratica di utilizzare i procedimenti legali contro i manifestanti del 6 gennaio come arma per mettere fuori gioco Trump si sta ora ritorcendo contro le pedine dell’amministrazione Biden. Il pianto della giudice Levine, pur esprimendo un dolore personale, viene percepito da molti come il simbolo del fallimento di una strategia aggressiva e politicizzata. La sua lamentela sul fatto che non ci saranno abbastanza persone per occuparsi della criminalità violenta a Washington, rendendo la città “meno sicura”, si scontra con la retorica “Make America Safe Again” di Trump, creando un’ironia amara per chi ha criticato le sue politiche.
Lo sguardo dell’Europa: la speranza di una giustizia non politicizzata
Noi italiani ed europei guardiamo a questi eventi con una certa apprensione e una profonda speranza. La politicizzazione della giustizia, che vediamo manifestarsi chiaramente negli Stati Uniti, non è un fenomeno sconosciuto nel nostro continente. Episodi come le elezioni annullate in Romania, i politici perseguitati giudizialmente (come Marine Le Pen in Francia o Gianni Alemanno in Italia), o i partiti messi sotto inchiesta per le loro opinioni non allineate alla politica (e magistratura) di sinistra, come l’AfD in Germania, ci ricordano costantemente il rischio di una giustizia che si trasforma in strumento di lotta politica.
La vicenda della giudice Levine e dei procuratori licenziati rafforza il nostro desiderio di vedere un giorno in cui i giudici e i sistemi giudiziari siano realmente indipendenti, al riparo dalle influenze partitiche. La speranza è che anche in Europa si possa giungere a un punto in cui i giudici politicizzati siano messi in condizione di non nuocere, garantendo che la giustizia sia cieca e imparziale, al servizio della legge e non degli interessi della “solita” parte.
Redazione
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