Non solo in politica: anche nel lavoro manuale, digitale nella vita reale.
C’è il fesso che ci capita e il fesso che ci viene messo. Due facce della stessa sciagura, due immagini riflesse in uno specchio che deforma e amplifica.
Da una parte c’è l’incompetente inconsapevole, promosso per inerzia, lasciato lì perché “tanto fa numero”.
Dall’altra c’è il danno deliberato: quello che si fa quando si affida un ruolo strategico a qualcuno che non sa leggere le fasi, non riconosce i tempi, non ha idea di cosa significhi costruire.
Il risultato è lo stesso: crollano i processi, si brucia il potenziale, si sprecano risorse.
Oggi questo doppio riflesso lo vediamo ovunque: nella politica, dove conta la fedeltà più del merito, nel lavoro manuale, dove si corre senza formare, nel lavoro digitale, dove l’IA sta rimpiazzando le prime esperienze anziché alleggerire quelle mature.
E nella vita reale, dove la qualità cede al rumore.
Il problema non è la tecnologia, non è neppure il cambiamento.
Il vero problema è che nessuno guarda nello specchio. O peggio: ci guarda e si compiace.
I danni che può fare un fesso messo nel posto sbagliato sono incalcolabili.
Lo sanno bene le aziende, lo sanno le istituzioni, lo sa anche chi lavora in squadra con qualcuno che non conosce i tempi e le fasi di un progetto, di una riunione, di una giornata.
Ma lo sa pure chi si affaccia ora al mondo del lavoro e trova una macchina al posto di un mentore.
Perché oggi l’allarme è doppio:
da un lato ci sono quelli incapaci ma promossi per fedeltà o per caso, dall’altro c’è l’intelligenza artificiale che si prende la gavetta e lascia a piedi chi dovrebbe imparare a camminare.
Aneesh Raman, di LinkedIn, l’ha scritto chiaro sul New York Times:
l’IA sta togliendo proprio quei ruoli entry level che servivano per imparare.
I report, le bozze, i riassunti di call, il lavoro noioso e prezioso: oggi li fa ChatGPT
E così, chi ha 23 anni non solo non trova lavoro, ma non ha nemmeno il tempo di sbagliare, di osservare, di crescere.
Paradosso?
Sì, perché ci dicevano che l’IA ci avrebbe liberati dal ripetitivo per aprirci alla creatività.
Invece ha preso la fatica e ha lasciato solo la vertigine.
Secondo il Work Trend Index 2025, il 47% delle aziende cerca competenze AI, ma solo l’11% la usa davvero.
Intanto la disoccupazione giovanile è al 19%.
E la generazione più digitale
di sempre rischia di restare esclusa proprio dal digitale.
Dall’altro lato, uno studio su 25.000 lavoratori in Danimarca rivela che l’IA, a oggi, ha avuto zero impatto su produttività e stipendi.
S&P Global aggiunge che il 42% delle aziende ha già abbandonato i progetti pilota con l’intelligenza artificiale.
In molti casi si torna agli
esseri umani, perché la tecnologia, da sola, non basta. Serve visione, strategia,
formazione.
Serve anche un po’ di buonsenso: come quello dell’Università del prosciutto in Emilia-Romagna, la prima a insegnare la filiera del salume più famoso al mondo.
Una scuola per formare, tramandare, valorizzare.
Perché non tutto passa per uno schermo: ci sono mestieri, identità e saperi che hanno ancora bisogno di mani, teste e passione.
Il problema, forse, è che da anni si premia la quantità più della qualità.
E quando il valore del lavoro non è riconosciuto, i lavoratori smettono di crederci.
Così, a furia di contare i pezzi e fare tutto in fretta, si è smarrito il senso del lavoro fatto bene.
E ci si ritrova a gestire le macerie lasciate da un fesso messo lì per sbaglio. O peggio: messo lì apposta.
Oggi questo doppio riflesso lo vediamo ovunque: dove conta la fedeltà più del merito, nel lavoro manuale, dove si corre senza formare, nel lavoro digitale, dove l’IA sta rimpiazzando le prime esperienze anziché alleggerire quelle mature. E nella vita reale, dove la qualità cede al rumore. Il problema non è la tecnologia, non è neppure il cambiamento. Il problema è che nessuno guarda nello specchio. O peggio: ci guarda e si compiace.
Altro che intelligenza artificiale:
qui si insegna un mestiere vero, fetta dopo fetta:
PArole chiare come l’acqua di sorgente, non c’è più la scuola del lavoro come gli anni 40, io ricordo dopo la V^ ELEMENTARE ANDAI A SCUOLA DEL LAVORO COME MECCANICO DI AUTO
Grazie Claudio.
Oggi almeno per quelli che ho vissuto ho visto andare in pensione tanti colleghi qualificati senza lasciare nulla in eredità…
Nessuno o quasi insegna più nulla