È un sabato sera qualsiasi in un piccolo paese del Sud. Un gruppo di adolescenti si ritrova al solito bar del centro. Non hanno ancora diciotto anni, ma hanno già provato di tutto: hashish, marijuana, pasticche, cocaina.
Alcuni anche la micidiale “purple drank”, la droga dei rapper, a base di sciroppo per la tosse e bibite gassate. Tutto è accessibile, tutto è a portata di messaggio su WhatsApp. Bastano 10 euro, e la “roba” arriva. Non è più un fenomeno delle periferie degradate delle grandi città. Non è più appannaggio solo delle “cattive compagnie”.
La droga — leggera o pesante, poco importa — è entrata nelle scuole medie, nei piccoli centri rurali, nei quartieri “bene”, tra i figli dell’operaio e quelli del professionista. Secondo i dati dell’Osservatorio Europeo sulle droghe, in Italia si abbassa sempre più l’età del primo contatto con le sostanze stupefacenti: 12-13 anni. Sì, proprio a quell’età in cui dovrebbero sognare il futuro, imparano invece a spegnersi un po’ alla volta.
Una deriva culturale e sociale sottovalutata Il problema è immenso e tragicamente ignorato. Le istituzioni tacciono, salvo qualche sporadica campagna pubblicitaria inefficace. Le scuole affrontano l’argomento in modo scolastico, quasi timoroso, spesso limitandosi ad “avvisi ai genitori”.
Servizi sociali e famiglia i grandi assenti
I servizi sociali sono spesso impreparati o ridotti all’osso. E molti genitori, persi tra lavoro e distrazioni digitali, non si accorgono di nulla.
O peggio: si accorgono, ma non vogliono vedere. In molte famiglie, parlare di droga è ancora un tabù. Si preferisce credere che il proprio figlio sia “diverso dagli altri”, che certe cose “non possono toccarci”.
E così si lasciano soli. Soli a combattere paure, pressioni, curiosità e vuoti esistenziali. Cosa cercano questi ragazzi nella droga? La risposta è semplice e terribile: fuga. Fuga da una società che li bombarda di modelli irraggiungibili, che li valuta per like e follower, che non offre ascolto né identità.
Fuga da genitori assenti, da insegnanti sfiniti, da un futuro incerto. Molti adolescenti cercano emozioni forti perché non riescono a trovarle nella realtà. Altri vogliono solo far parte di un gruppo. Altri ancora si sentono già vecchi, svuotati, inadatti al mondo che li circonda. E mentre la politica discute di bonus e tagli, i giovanissimi bruciano le tappe e si perdono. Qualcuno finisce in ospedale.
Qualcuno in galera. Qualcuno non arriva nemmeno ai vent’anni. Serve una rivoluzione educativa e culturale Non basterà una legge più severa, né qualche arresto clamoroso. Serve una rivoluzione educativa: nelle famiglie, nelle scuole, nei territori.
Serve ascolto, affetto, presenza. Serve educare alle emozioni, al senso critico, alla responsabilità. Serve il coraggio di dire ai nostri figli che la droga non è libertà, ma catena. Che “sballarsi” non è vivere, ma sopravvivere a metà.
E serve una comunità intera: genitori, insegnanti, parroci, allenatori, educatori, amministratori locali. Tutti. Perché nessun bambino, nessun adolescente dovrebbe cercare una dose per sentirsi vivo.
Giustino D’Uva
Il 2diPicche lo puoi raggiungere
Attraverso la Community WhatsApp per commentare le notizie del giorno:
Unendoti al canale WhatsApp per non perdere neanche un articolo:
Preferisci Telegram? Nessun problema: