Affitti a peso d’oro, stanze che costano più di un salario minimo, strutture lussuose trasformate in macchine da profitto.
A Roma, il mercato degli studentati privati è diventato un vero e proprio business milionario. A beneficiarne non sono solo fondazioni religiose o enti storici, ma oggi anche colossi finanziari internazionali e multinazionali dell’immobiliare.
Lo ha ben raccontato RomaToday in un’inchiesta che dovrebbe far riflettere chi, delle sorti del nostro sistema universitario, dovrebbe essere garante. Ma mentre gli investitori contano i ricavi, le famiglie degli studenti contano i centesimi.
Per un giovane fuori sede, studiare a Roma – come in molte altre città universitarie – è sempre più un privilegio. Ai costi delle tasse universitarie, dei trasporti, dei libri e del vitto, si sommano quelli proibitivi dell’alloggio. Parliamo di cifre che possono superare tranquillamente i 700-800 euro al mese per una stanza in uno studentato privato, spacciato per “residenza universitaria”, ma di fatto gestito come un hotel di lusso.
Il risultato? Molte famiglie si trovano costrette a fare sacrifici enormi o a rinunciare del tutto alla possibilità di far studiare i propri figli lontano da casa. E quando l’istruzione diventa una questione di reddito, il diritto allo studio smette di essere un diritto. Diventa un lusso per pochi. Eppure, le soluzioni esistono.
A Roma – ma il discorso vale per tutta Italia – ci sono decine di strutture pubbliche, anche universitarie, chiuse o sottoutilizzate. Ex convitti, caserme, edifici di enti pubblici, perfetti per diventare residenze per studenti.
Che cosa impedisce alla politica, alle università, agli enti locali di mettersi attorno a un tavolo e progettare un piano serio, concreto, per offrire un’alternativa sostenibile agli studentati privati? Serve il coraggio di investire. Servono sgravi fiscali veri per le famiglie con figli fuori sede. Serve un piano nazionale per la realizzazione di campus universitari pubblici, dotati di case dello studente a prezzi calmierati.
E serve, soprattutto, un cambio di mentalità: lo studente non è un cliente. È un cittadino in formazione. E come tale deve essere tutelato. Se non si interviene adesso, il rischio è che l’università italiana diventi sempre più un percorso d’élite. Un luogo accessibile solo a chi può permetterselo, mentre tanti giovani talentuosi saranno costretti ad abbandonare gli studi per motivi economici.
Sarebbe una sconfitta non solo sociale, ma culturale ed economica. Perché oggi stiamo decidendo chi potrà essere domani un medico, un insegnante, un ingegnere, un ricercatore. E non possiamo permettere che la risposta sia: solo chi ha i soldi. Investire nella formazione non è una spesa.
È la più grande risorsa per il futuro del Paese.
È ora che le istituzioni lo capiscano, prima che sia troppo tardi.
Giustino D’Uva
Il 2diPicche lo puoi raggiungere
Attraverso la Community WhatsApp per commentare le notizie del giorno:
Unendoti al canale WhatsApp per non perdere neanche un articolo:
Preferisci Telegram? Nessun problema: