Una storia che ha dell’incredibile e che, purtroppo, non è un caso isolato nel panorama del lavoro sommerso italiano.
Un imprenditore cinese operante in Italia è finito sotto i riflettori della giustizia per aver messo in piedi un sistema di sfruttamento che ricorda più un lager che un’azienda.
Ai suoi operai, italiani e stranieri, veniva richiesto di restituirgli 33 euro per ogni giorno di assenza dal lavoro. Una penale assurda, imposta anche in caso di malattia o gravi necessità familiari.
Le indagini, partite da una segnalazione anonima e poi sviluppate grazie all’intervento della Guardia di Finanza e dell’Ispettorato del Lavoro, hanno portato alla luce una situazione da incubo: turni massacranti, stipendi irregolari, assenza di contratti, e minacce continue per chiunque osasse lamentarsi.
Alcuni operai hanno riferito di aver subito insulti e intimidazioni, mentre altri, per non perdere il lavoro, accettavano in silenzio condizioni disumane. Il datore di lavoro, nel tentativo di giustificare la clausola dei 33 euro, avrebbe parlato di “compensazione per i danni alla produttività”.
Ma la realtà è che, in un clima di totale assenza di diritti, l’assenza di un lavoratore veniva trattata come una colpa da espiare con denaro contante — che finiva direttamente nelle tasche dell’imprenditore. Una doppia beffa: lavorare in condizioni al limite della schiavitù e, in caso di malattia o necessità, dover persino pagare.
Un sistema perverso che sfrutta la disperazione, la precarietà, la paura. E che non colpisce solo i lavoratori stranieri, spesso privi di tutele e facilmente ricattabili, ma anche gli italiani costretti ad accettare lavori al nero per sopravvivere.
Il caso è ora al vaglio della magistratura, con accuse pesanti: intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, estorsione, evasione fiscale, e violazione delle norme sulla sicurezza e sui contratti.
Ma al di là del singolo caso, questa vicenda accende i riflettori su un problema strutturale: il lavoro sommerso, la mancanza di controlli, e l’impunità di chi lucra sulla pelle dei più deboli.
Mentre migliaia di imprese rispettano le regole e faticano a sopravvivere, ce ne sono altre che prosperano grazie all’illegalità e alla complicità del silenzio.
Lo sfruttamento non è un’ombra del passato.
È qui, oggi, nel cuore dell’Italia produttiva. E finché non ci sarà tolleranza zero contro chi sfrutta e umilia, queste storie continueranno a moltiplicarsi nell’indifferenza generale.
Giustino D’Uva
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