Il Secolo d’Italia ha riportato una perla che merita di essere incorniciata nella galleria degli orrori del pensiero progressista. Jean-Luc Mélenchon, tribuno della sinistra radicale francese, ha dichiarato che la lingua francese sarebbe “una lingua creola”, creata sotto il colonialismo, e andrebbe quindi superata per lasciare spazio a una società più “decolonizzata”.
Tradotto: il francese è troppo bianco, troppo europeo, troppo identitario – quindi va rottamato. La scena è da teatro dell’assurdo. La nazione che per secoli ha fatto del proprio idioma un’arma di civilizzazione (vero o presunto che fosse), oggi si vergogna persino della propria grammatica. E così, mentre i popoli ex colonizzati imparano il francese per trovare un riscatto, i francesi stessi lo disprezzano per espiare le colpe del passato. Siamo al paradosso perfetto: autodafè linguistico in nome del multiculturalismo.
Il nuovo volto della République non parla più francese – è troppo compromesso con la storia. Ma attenzione: non tutti i francesi si sono lasciati abbindolare. Le dichiarazioni di Mélenchon hanno scatenato un’ondata di critiche, anche da parte di intellettuali e personalità pubbliche non certo sospettabili di simpatie reazionarie. E, per una volta, non possiamo che essere d’accordo con loro.
Il fatto stesso che serva difendere l’ovvio – cioè che il francese sia una lingua e non un crimine – dice molto sullo stato comatoso della sinistra europea. Eppure Mélenchon non è un comico da bar, ma uno dei leader dell’opposizione. Uno che raccoglie milioni di voti e rappresenta l’élite culturale che plasma l’opinione pubblica francese. E se la lingua di Molière diventa improvvisamente “coloniale”, cos’altro toccherà?
La cucina francese? I castelli della Loira? Il gallo sullo stemma nazionale?
In fondo, la Francia ci aveva abituati a una certa grandeur. Ora è passata alla decadenza, alla resa culturale di chi chiede scusa per esistere. Si inginocchiano davanti al vento globalista, si frustano con i flagelli dell’inclusività, e si mettono il bavaglio da soli, pur di mostrarsi progressisti. Una caricatura di nazione, governata da ideologie più simili a sedute di autocoscienza che a un progetto politico.
Noi italiani – provinciali quanto basta – osserviamo questo spettacolo con una certa soddisfazione. Non perché siamo messi molto meglio, ma perché almeno non ci è venuto in mente di chiedere perdono a Petrarca per la metrica patriarcale…per ora.
Mélenchon è il sintomo, non la causa: il sintomo di un’Europa che, nel nome della tolleranza, cancella se stessa. Ma per fortuna non tutti i francesi sono disposti ad accompagnarlo nella rovina. Qualcuno resiste.
E noi, pur da fuori, non possiamo che tifare per loro: per chi vuole ancora parlare francese con orgoglio, e non con senso di colpa.
Gianluca Mingardi
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