Il delitto d’onore era previsto dal Codice penale (art.587 c.p.) ed è stato abolito assieme al cd matrimonio riparatore nell’ agosto del 1981. Il delitto d’onore prevedeva pene attenuate per il marito, che riscontrato l’adulterio della moglie o anche una illegittima relazione carnale di una figlia o di una sorella, avesse reagito uccidendo la donna e/o l’amante, con reclusione dai 3 ai 7 anni. L’ abolizione di questo reato fu il risultato di acerrime e giuste lotte femministe, che puntavano all’uguaglianza di genere e all’abolizione di leggi discriminatorie contro le donne.
L’introduzione del divorzio e la riforma del diritto di famiglia accelerarono l’abolizione di questa medioevale fattispecie penale.
Detto questo, tanto è stato fatto per la tutela e l’integrità della donna. La creazione del reato di stalking (L. 38/2009) o atti persecutori (art.612 bis c.p.). Il tutto è stato reso ancora piu’ stringente dal codice rosso (legge 69/2019). Tutto questo malloppo legislativo stride poi di fatto con quello che accade nella realtà. Simposi sulla violenza di genere, dibattiti televisivi, vittime di maltrattamenti in famiglia supportate psicologicamente fattivamente con strutture protette, fanno molto ma non abbastanza. Ancora peggio poi se ad emettere sentenze perlomeno stravaganti da tribunale islamico e’ invece un tribunale italiano, nello specifico quello torinese.
I fatti
I fatti: in data 28.7.22 una donna, Lucia Regna, 44 anni, è stata massacrata di botte per sette minuti dall’ex marito che l’ha lasciata con il volto distrutto, ricostruito da 21 placche di titanio e un nervo oculare lesionato. L’ aggressione pare fosse dovuta ad una relazione della donna al di fuori del contesto familiare. Insomma, per farla breve l’uomo è stato solo condannato per le lesioni a 18 mesi e non per i maltrattamenti in famiglia.
Da brividi alcuni estratti di sentenza del giudice che a suo parere afferma che “non si trattò di un accesso d’ira immotivato ” ma di uno sfogo riconducibile alla logica delle relazioni umane e per questo l’aggressore va compreso. (perché debba essere compreso non capisco). Riporto da un quotidiano che cita passi della sentenza: gli insulti e le minacce ” puttana non vali un cazzo ti ammazzo” rientrano secondo il giudice, in frasi da calare nel contesto della dissoluzione della comunità domestica, umanamente comprensibile. Infatti, questo gentile intercalare è usato quotidianamente nelle famiglie quando si litiga, è tutto semplice appunto.
L’ aggressore è stato ritenuto sincero e persuasivo e quindi resta libero, nonostante i 4 anni e mezzo chiesti dal PM alla corte di Torino l’undici settembre di quest’anno.
Le sentenze non si discutono ma qualche ragionamento va fatto.
In primis sui reati contestati a questo soggetto: ritengo che sette minuti di violenza bruta con pugni sferrati al volto della donna che le hanno provocato fratture devastanti debbano essere considerati un tentato omicidio e non semplici lesioni perché neanche nelle gabbie della MMA i combattenti subiscono ferite simili.
In secondo luogo, vi è una mortificazione ed umiliazione della vittima, qualunque sia stata la sua colpa, ed uno sfregio legislativo a tutto ciò che è stato prodotto finora in termini di conservazione fisica e morale della donna.
Infine, noto che dopo la sentenza che aveva assolto un bengalese dal reato di maltrattamenti in famiglia perché dipendeva dalla sua cultura, anche questa sentenza mi pare un deciso passo indietro nella tutela della figura femminile.
Forse come nel Regno Unito ci stiamo ” sharizzando” perché certe sentenze urlano vendetta e anche un po’ di vergogna.
Magari ripristiniamo le lesioni d’onore hai visto mai?
Maurice Garin
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“Giuste lotte femministe”? “Medievale fattispecie penale”?
Ma chi è la zecca progressista che ha scritto ‘sta roba???