L’introduzione del nuovo articolo 577-bis del Codice Penale rappresenta una ferita mortale inferta al cuore dello Stato di diritto. Un colpo basso alla giustizia, alla legalità, alla libertà individuale. È il simbolo di una deriva autoritaria e moralmente marcia, figlia di una politica che ha tradito ogni radice, ogni valore, ogni senso del giusto.
Chi ha memoria e senso della Storia sa che il diritto penale non può mai trasformarsi in uno strumento di repressione ideologica.
Eppure, proprio questo è il fine ultimo dell’art. 577-bis: colpire selettivamente, politicamente, culturalmente, nel nome di un presunto “progresso” che puzza di regime e censura. Un articolo incostituzionale e inaccettabile Dal punto di vista giuridico, questa norma è una bomba contro la Costituzione. Viola in pieno l’art. 3 (principio di uguaglianza), l’art. 25 (principio di legalità) e offende gravemente la logica della pena giusta, proporzionata e certa. Non si legifera sull’onda dell’emotività, né tantomeno per accontentare le lobbies dell’odio ideologico.
Ma è esattamente ciò che è stato fatto: l’art. 577-bis è vago nei suoi presupposti, squilibrato nelle sue pene, pericolosamente aperto a interpretazioni politicamente orientate. Uno Stato serio non crea norme ad personam o ad opinione.
Non reprime ciò che non capisce. Non punisce il dissenso come fosse un reato. Barbarie legale e suicidio culturale Questa legge rappresenta una forma moderna di barbarie. Si chiude il cerchio: dopo anni di rinunce culturali, di compromessi morali e di sottomissione al pensiero unico globalista, ora lo Stato si arroga il diritto di decidere chi è degno di parlare e chi no, chi può vivere libero e chi deve marcire nelle carceri per ciò che pensa.
Non siamo più davanti a un ordinamento giuridico: siamo in un carcere ideologico a cielo aperto. La nostra cultura giuridica, già fiaccata da decenni di lassismo, multiculturalismo forzato e demolizione dei valori identitari, crolla definitivamente sotto il peso di una norma scritta per intimidire, non per difendere.
Una discriminazione al contrario, pagata dai cittadini liberi Parliamo chiaro: l’art. 577-bis non protegge nessuno, ma legittima la persecuzione di chi dissente, di chi osa pensare fuori dal recinto del conformismo.
È una norma discriminatoria al contrario: colpisce chi rivendica orgoglio, identità, ordine e tradizione.
Chi non si piega alle menzogne della cultura dominante. Chi vuole uno Stato giusto, non uno Stato ideologico. Il cittadino onesto, che parla chiaro, che non accetta imposizioni culturali e morali contrarie alla sua visione del mondo, diventa un bersaglio.
Una minoranza intoccabile diventa “più uguale degli altri”, mentre la maggioranza silenziosa viene ridotta al silenzio. La vergogna della destra di governo: quando i lupi si travestono da agnelli Ma ciò che fa più rabbia, ciò che pesa come un tradimento insopportabile, è che questa infamia giuridica sia stata introdotta proprio da chi si faceva chiamare “destra”.
Da chi predicava sovranità, identità, giustizia, ordine. Oggi quella “destra” al potere si rivela per ciò che è: un clone stanco e infetto della sinistra, incapace di dire no ai diktat internazionali, piegata alle logiche dei salotti radical-chic, complice del degrado morale e del disarmo giuridico. Il popolo che li ha votati per ripristinare il diritto è stato tradito.
Tradito da chi oggi legifera contro i propri elettori, per compiacere Bruxelles, l’ONU o i padroni del pensiero unico. Il nuovo art. 577-bis c.p. è una mostruosità giuridica, un’aberrazione morale, un segnale di collasso culturale.
Esso deve essere respinto con forza da ogni cittadino che ha a cuore l’onore della legge e la dignità della propria identità.
Non c’è più distinzione tra destra e sinistra. C’è solo chi serve la verità e chi serve il potere.
Ed è ora che chi ama la giustizia vera, quella radicata nella civiltà, nel sangue e nella terra, alzi la voce e dica no a questo scempio.
Perché senza giustizia, senza libertà, senza identità, non resta che la schiavitù travestita da tolleranza.
Giustino D’Uva
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