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Ci vogliono rieducare, con le buone o con le cattive

Redazione di Redazione
23/09/2024
in Costume
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Ci vogliono rieducare, con le buone o con le cattive
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Ci vogliono rieducare, con le buone o con le cattive – Una delle caratteristiche dell’egemonia culturale della sinistra, mai sufficientemente studiata, analizzata e soprattutto combattuta seriamente a destra, è la sua pervasività.

La sinistra ha conquistato tutte le “casematte”, come le chiamava Gramsci, della società civile: la scuola, l’università, la magistratura, i principali organi di stampa, le televisioni, le fiction televisive, persino i contenuti della pubblicità: omosessualismo, femminismo, multirazzialità ormai la fanno padrone, “abituano” il pubblico a una società invertita, a un “mondo al contrario”.

E poi le case editrici, i premi letterari, le recensioni librarie sulla stampa o in tv, la produzione di film, i festival cinematografici e i relativi premi (indovinate chi hanno premiato con gli ultimi Nastri d’Argento: il solito “Io capitano” e il solito “C’è ancora domani”. Perché sono belli? No, perché sono di sinistra).

Nessun pensiero alternativo è ammesso, nessuna idea non conforme è accettata dalla cupola che gestisce un potere sempre più assoluto. Al caso, si agitano il manganello e le manette della legge Scelba e della legge Mancino, le leggi più antistoriche e liberticide d’Italia. La propaganda resistenzialista, antifascista è sempre più opprimente, invasiva, occhiuta e feroce. In nome dell’antifascismo, a “loro” è concesso tutto: fare delle inchieste pseudo-giornalistiche che sono atti di spionaggio, di dossieraggio, di violazione della privacy, di registrazioni non autorizzate. Invece di reagire, di denunciare gli atti di spionaggio alla magistratura e all’Ordine dei Giornalisti, la destra balbetta in affanno, si scusa, si proclama antifascista.

Non è più solo un’egemonia, ma una vera e propria “dittatura del relativismo” come aveva ben capito Benedetto XVI. La cosiddetta “democrazia liberale” è in realtà una dittatura ben mascherata, spesso grottesca, dal ghigno apparentemente sorridente – “Ogni democratico è un tiranno da operetta” scriveva Emil Cioran – ma sempre oppressiva. Dalla truffa ideologica dei liberali ci aveva messo in guardia Carl Schmitt e anche recentemente ci ha ricordato Franco Cardini che: “La nuova oppressione è di marca liberale”.

Poiché il sistema liberal-democratico si considera il Bene assoluto, e l’unico possibile, ne consegue che chi non si riconosce in questa ideologia sia da escludere, da silenziare, da cacciare.

Karl Popper, il “filosofo” della cosiddetta “società aperta”, ispiratore del sovvertitore internazionale George Soros, teorizzava la soppressione di coloro che riteneva essere “intolleranti”:

“Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti […] allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi. Dobbiamo proclamare il diritto di sopprimerle [le filosofie intolleranti] se necessario anche con la forza.”

Da sottolineare il liberalissimo “anche con la forza”. Ovviamente, sono loro a decidere chi è tollerante e chi non lo è, quindi chi è da sopprimere e chi no. Nel suo saggio Il liberalismo illiberale così scrive Giuseppe Reguzzoni: “Ci vantiamo del nostro pluralismo. Ne abbiamo fatto un dogma, quello della tolleranza a tutti i costi, per tutti, ovviamente, ma non per i nemici della tolleranza. Poi, però, è il Potere a stabilire che cosa sia tolleranza e chi e che cosa debbano essere tollerati”.

Un’altra conseguenza dell’ideologia democratica del “Bene assoluto”, che non riconosce alcuna dignità a qualsiasi pensiero non conforme, è l’imperativo politico secondo cui colui che non aderisce al sistema del “pensiero unico”, se non silenziato e soppresso, vada comunque “rieducato”.

Che il sistema democratico sia il “Bene assoluto” è una verità talmente autoevidente che chi l’abiura è un pazzo o un totale ignorante. Di qui la concezione di una “democrazia pedagogica” già presente in Jean-Jacques Rousseau e in altri rivoluzionari.

E’ quella “democrazia totalitaria” denunciata da Jacob Leb Talmon, uno studioso non certo di destra, ebreo polacco e docente all’Università di Gerusalemme, che già nel 1952, con un testo rimasto un classico nella scienza della politica, Le origini della democrazia totalitaria, mise in guardia dal messianesimo democratico e dalla guerra che questo scatena contro i “nemici del popolo e del progresso”, guerra che terminerà solo quando: “il nemico è stato eliminato e il popolo rieducato”.

Nella democrazia totalitaria, infatti, non bisogna “lasciare al popolo la libertà di agire, ma fargli compiere l’azione giusta”.

Se si vuole una rozza, ma esemplare, traduzione di un auspicio di “democrazia totalitaria” nel nostro mondo politico contemporaneo, basti pensare a quanto espresso da Achille Occhetto in un’intervista di qualche anno fa: “il popolo, senza mediazioni, è una brutta bestia. Dobbiamo cominciare a educare la gente”. Strano: si poteva pensare che, disponendo dal 1945 di tutto l’apparato mediatico ed educativo, lo stessero già facendo da anni.

Quello di “democrazia pedagogica” o di “democrazia rieducativa” non è un concetto astratto, ma una minaccia concreta alla nostra libertà d’opinione e alla nostra libertà tout court. Gli esempi di “rieducazione” dei dissidenti si stanno moltiplicando, in Italia e all’estero.

Qualche tempo fa quattro studenti di Cuneo vennero ripresi con un cellulare mentre facevano un saluto romano di fronte a un manifesto affisso a scuola per una mostra sui campi di concentramento. Siamo convinti che il gesto – che di per sé non è un reato – non fosse dettato da consapevolezza politica o da volontà di una manifestazione apologetica. Piuttosto da un misto di goliardia, di fastidio e di irritazione per l’overdose di antifascismo che impesta i programmi scolastici, di giovanile, anticonformistica contestazione della vulgata corrente.

Immancabile è scattato il meccanismo dell’Indignazione Antifascista Collettiva. Alla dirigenza dell’istituto venne imposto di irrogare una severa punizione ai pericolosi attentatori alla democrazia.

Sei giorni di sospensione erano troppo pochi; ecco che si imposero anche lezioni di antifascismo presso l’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo e l’Anpi. Non solo: un incontro presso un centro di accoglienza di migranti, la comunità Emmaus di Boves e attività di recupero dei rifiuti, come atto di estrema umiliazione dei giovinastri.

Da allora, altri casi similari sono accaduti nella scuola italiana. Addirittura il ministro dell’Istruzione Valditara, che si autodichiara, assai contraddittoriamente, “seguace di Miglio”, si è recentemente vantato di aver trasformato le sospensioni punitive rendendo obbligatorie attività di “cittadinanza solidale”, come ha definito, con molta ipocrisia orwelliana tipicamente liberal, la “rieducazione democratica” di vago sapore maoista.

Ma la dittatura pedagogica della rieducazione dei dissenzienti o dei non conformisti non colpisce solo studenti goliardicamente irridenti le dogmatiche “verità” antifasciste, ma anche affermazioni che dovrebbero rientrare nella libertà di pensiero e di parola. Un’affermata imprenditrice della moda ha recentemente dichiarato, durante un convegno: “assumo solo uomini, o donne over 40 quando si tratta di cariche importanti”.

Affermazione discutibile, nel senso letterale “che può essere discussa”, ma, di tutta evidenza, perfettamente legittima. Ma non era questa l’opinione di così una sconosciutissima “Associazione nazionale lotta alle discriminazioni”, che ha intentato causa all’imprenditrice, trovando una sponda in un giudice del lavoro (una donna), che non solo ha dato ragione all’associazione cacciatrice di non conformisti, non solo ha condannato l’imprenditrice a una pesantissima sanzione, ma ha anche imposto all’azienda di organizzare,
entro sei mesi: “un piano di formazione aziendale sulle politiche discriminatorie che prevede corsi annuali con interventi di esperti ai quali siano chiamati a partecipare obbligatoriamente tutti i dipendenti”, anche la stessa imprenditrice, per arrivare a “un consapevole abbandono dei pregiudizi di età, genere, carichi e impegni familiari nelle fasi di selezione del personale.”

Illuminante quel liberticida e punitivo: “siano chiamati a partecipare obbligatoriamente tutti i dipendenti”. E se qualche dipendente si rifiutasse di farsi rieducare e indottrinare con ideologie pervertenti da presunti esperti sostenitori delle aberrazioni wokiste e della famigerata diversity, o se contestasse in aula le menzogne propalate dai presunti “docenti” di queste falsificanti ideologie (è già successo), verrebbe spedito in galera dal giudice seduta stante?

L’azienda dovrebbe licenziarlo per giusta causa? Commenta, in una sua lettera, un lettore de LaVerità: “Non so cosa ne pensate voi, io sono allibito: questa sentenza mi ricorda tanto le farse di processi politici senza appello, le condanne alla rieducazione dei regimi totalitari di ieri e di oggi, di nazioni come l’ex Unione Sovietica e la Cina.”

Come dargli torto?

Un altro caso: l’Ordine interprovinciale delle ostetriche di Bergamo, Cremona, Lodi, Milano e Monza-Brianza ha aderito al gay-pride di Milano. Curiosa la non avvertenza di una profonda e ineliminabile contraddizione, logica e ontologica, tra l’essere un’ostetrica, tra l’operare quotidianamente per la vita, e la sciagurata e carnascialesca sfilata trans-omosessualista. Giustamente, un numeroso gruppo di queste benemerite professioniste, iscritte all’Ordine, ha protestato con la presidenza dello stesso, chiedendo spiegazioni per questa sventurata e verticistica decisione di adesione al gay-pride e alla sua ideologia che nega la realtà naturale e la vita.

Arrogante e vagamente minacciosa la risposta della Presidente dell’Ordine: oltre a giustificare la decisione di adesione al raduno sodomitico, infarcendo la replica con le solite menzognere, falsificanti espressioni wokiste (“diritti umani universali”, “diritto alla salute sessuale e riproduttiva”, “condanna di ogni forma di discriminazione”, “combattere l’esclusione sociale” e così via), ecco arrivare un pressante “invito” alle dissenzienti a partecipare a corsi di rieducazione quali, ad esempio, “La salute transgender” oppure “Le persone intersex”.

Altro caso assai recente: la Regione Puglia ha approvato una controversa legge contro “l’omotransfobia”, voluta dal PD, che è un chiaro tentativo di imporre l’ideologia “arcobaleno” e la sciagurata insensatezza che
afferma essere il “gender” un elemento modificabile a piacere, secondo le preferenze del momento. Riferisce Alessandro Rico su LaVerità:

“…il testo diventa lo strumento perfetto per introdurre il lavaggio del cervello in scuole e atenei, mascherandolo da difesa delle diversità. […] Insegnanti e persino genitori verranno caldamente invitati a seguire corsi di formazione a sfondo Lgbt.”

In altri paesi, la situazione sembra essere persino peggiore. In Irlanda un docente, Enoch Burke, che si rifiutava di chiamare con un pronome neutro uno studente “in transizione” è stato prima sospeso dalla docenza poi incarcerato: una carcerazione dichiaratamente “rieducativa” per il rifiuto del professore di negare la realtà, rivolgendosi con un pronome falsificante a uno studente maschio. Se avesse accettato di mistificare la realtà e la natura, sarebbe stato scarcerato: “Il signor Burke ha deciso di non obbedire agli ordini e di non eliminare il suo disprezzo” ha dichiarato implacabile il giudice. Forte della sua fede, così aveva dichiarato Burke: “Il transgenderismo è contro la mia credenza cristiana. E’ contrario alle Scritture.”

Tuttavia, dopo più di un anno di detenzione, il giudice ha dovuto prendere atto della fermezza del docente nel suo rifiuto di negare la verità sul sesso di uno studente e, non potendolo incarcerare per tutta la vita, ha dovuto rilasciarlo, senza chiedergli alcuna abiura. E’ rimasto però il divieto di insegnamento.

Un caso similare è occorso al New College Swindon in Gran Bretagna, dove un docente è stato licenziato per essersi rifiutato di rivolgersi “al maschile” a una studentessa “in percorso di transizione”, come recita la menzogna woke. Analoghi casi negli Stati Uniti, dove tuttavia una docente nel Kansas, Pamela Ricard, sospesa dal suo college per essersi rifiutata di rivolgersi “in modo appropriato” a due studenti maschi che pretendevano di essere femmine ha iniziato una causa legale e ha ottenuto un risarcimento di 95.000 dollari.

Impeccabile la difesa degli avvocati della docente: “La signora Ricard crede che Dio abbia creato gli esseri umani come uomini e donne, che questo sesso è fissato in ogni persona dal momento del concepimento e che non può essere cambiato, indipendentemente dai sentimenti, dai desideri o dalle preferenze di ogni persona”.
In Germania la cosiddetta “educazione sessuale” è obbligatoria persino alle elementari e imposta anche alle scuole private, persino a quelle religiose. Non c’è modo di evitarla. E, ovviamente, “educazione sessuale” significa sessualizzazione precoce dei bambini, apologia dell’omosessualismo, dell’ideologia gender e del trans-sessualismo, rappresentazione oscena di atti sessuali. Come non mai, in questo caso, dovrebbe valere il terribile monito di Gesù nel Vangelo di Matteo: “Chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in fondo al mare.”

Molti cristiani si oppongono e si rifiutano di sottoporre i loro figli alla perversione di questo insegnamento, che oltretutto priva le famiglie del diritto inalienabile dell’educazione. Così, nel land del Nord Reno-Vestfalia, in una scuola elementare frequentata da molti cristiani battisti, il rifiuto di una mamma al diktat dell’insegnamento della depravazione l’ha spedita diritta in galera. Questa signora, tra l’altro madre di dodici figli, s’è fatta sei settimana di carcere. In precedenza una mamma di quattro figli era stata condannata a 10 giorni e un padre a ben 40 giorni, sempre a causa del loro rifiuto alla corruzione dei loro figli dall’educazione di Stato.

Questa è la democrazia e la giustizia in Germania; d’altronde, è recente la condanna di una deputata della AfD per aver citato statistiche ufficiali, fornite dallo Stato, che dimostravano la maggiore propensione dei migranti allo stupro mentre un altro esponente dello stesso partito è stato condannato con la serissima accusa di “espressione facciale nazista”. Ancora più recentemente, con un provvedimento meramente amministrativo e senza precedenti, la ministra degli interni tedesca, di ultrasinistra, ha bandito la rivista Compact, con una tiratura di 40.000 copie, perché “di estrema destra”. Un gravissimo attacco alla libertà di stampa, stigmatizzato anche da politici, giuristi e commentatori lontani dalla destra di AfD.

Una nota che è anche un rammarico: gli eroi di questa resistenza alla menzogna sono quasi tutti anglicani o protestanti. Silenzio, acquiescenza e accettazione da parte dei cattolici. Probabilmente le sempre più sfacciate esternazioni di Bergoglio a favore della sodomia e dei sodomiti, a partire dallo sciagurato e famigerato “chi sono io per giudicare”, ha convinto i cattolici che, nonostante la dottrina cattolica sia chiarissima nella condanna di questo “peccato che grida vendetta dinnanzi a Dio”, come recita il Catechismo, la posizione ufficiale della Chiesa sia rappresentata dal gesuita (appunto…) James Martin, ben noto per la sua continua e reiterata apologia della “frociaggine”, colui che ha osato ammantare la Madonna con la bandiera trans-omosessualista, che ha festeggiato giugno come “mese dell’orgoglio LGBT”.

Il suo ultimo, recentissimo libro ha avuto persino l’onore di una prefazione dello stesso Bergoglio. Un endorsement alla sua eresia omosessualista. Ecco l’incipit: “Dobbiamo essere molto grati a padre James Martin, di cui conosco e apprezzo anche altri scritti”. Significativo ma per nulla sorprendente il fatto che la scuola nel Nord Reno-Westfalia che denunciò le madri e i padri di fede battista renitenti alla perversione genderista dei loro figli sia, purtroppo, una scuola cattolica.

Il ben informato blog di Maurizio Blondet riferisce di un recente caso di fuga all’estero di una madre tedesca per evitare la rieducazione e il pervertimento dei suoi tre figli da parte del sistema scolastico tedesco o, addirittura, la loro sottrazione alla famiglia. Si tratta, tra l’altro, di un deputato di Amburgo di AfD, Olga Peterson, che si è opposto all’educazione sessuale e alle menzogne ambientaliste nelle scuole.

Così ha dichiarato: “Mia figlia dice che il diesel sta rovinando il mondo e l’educazione sessuale precoce sta facendo perdere l’equilibrio a mio figlio di dieci anni. E’ costretto a dedicarsi alla sessualità che per sua natura non gli interessa ancora.

Dobbiamo garantire la protezione dei nostri figli dalla politica di genere”. Di fronte a questa decisa opposizione all’educazione sessuale trans-omosessualista e genderista, è intervenuto il sistema della giustizia minorile per allontanare i figli dalla famiglia. A questo punto la Peterson è fuggita dal paese, probabilmente rifugiandosi in Russia, dove le è stato promesso aiuto per le pratiche burocratiche e per un lavoro.

Ci mette in guardia Silvana De Mari, medico e scrittrice, coraggiosa combattente contro l’avanzante perversione imposta per legge:

“Vi chiederanno se amate i pride e se sapete che Wladimiro Guadagno, in arte (quale arte?) Vladimir Luxuria, è in realtà una donna, e se la risposta non sarà affermativa manderanno i servizi sociali a levarvi i figli? A Bibbiano è già successo.

Vi sospenderanno dall’insegnamento e da qualsiasi lavoro statale a meno di non accettare corsi di rieducazione di tipo più cinese che sovietico? […] Se vi rivolgerete a un maschio che ha deciso di dichiarare che si sente fanciulla non con il pronome femminile, potrete essere fisicamente arrestati.”

Eppure, tutti noi possiamo fare qualcosa contro la pervertente dittatura e la “rieducazione democratica”.

Nel nostro ambito, la famiglia, le amicizie, la scuola, il luogo di lavoro, gli Ordini professionali, magari associandoci, creando relazioni, reti di resistenza, possiamo provare a gettare sassolini negli infernali ingranaggi della “macchina della menzogna”, come la definiva Solgenitsin.
Non facciamoci rieducare.
Antonio de Felip

Tags: Cultura WokedeiLGBT+Pensiero unico
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