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Cinematografari

de Felip Antonio di de Felip Antonio
05/06/2025
in Cronaca, Cultura, Notizia del giorno
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cinematografari
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Lasciatemi citare Leon Bloy, uno dei più interessanti intellettuali cattolici francesi a cavallo tra ‘800 e ‘900, cattolico sulfureo, dai tratti mistici, antigiacobino, reazionario, monarchico legittimista, nazionalista (morì al fronte nel 1917), un genio mal sopportato e anzi condannato dai cattolici conciliari e mainstream, amico di altri cattolici controrivoluzionari come Barbey d’Aurevilly, Joris-Karl Huysmans e Louis-François Veuillot.

In Italia fu amato da cattolici intransigenti, ispidi e reazionari come lui, come Domenico Giuliotti, Federigo Tozzi e Giovanni Papini. Giuliotti e Papini nel loro Dizionario dell’omo salvatico dicono di Bloy che “i suoi nemici capitali son due: l’abietta borghesia democratica […] e la vigliaccheria cattolica” e ne esaltano: “lo stile sulfureo, lampeggiante, fabbricoso, acciaiato, felino e serpentesco”.

Ebbene, mi capita spesso di riflettere su questo suo magnifico aforisma: “Devo economizzare il mio disprezzo, dato il grande numero di indigenti”. Così, appunto, per economizzare il mio disprezzo, lo riservo a poche categorie di destinatari. Agli oligarchi UE, ad esempio, gli Oscuri Signori che nel silenzio, tramando, con accordi capestro ci tolgono ogni giorno un pezzo di libertà, ci sottraggono in modo surrettizio la nostra indipendenza, la nostra sovranità. Oppure lo riservo ai corruttori che vogliono introdurre ad ogni costo le perversioni omosessualiste-genderiste nelle scuole, memore del severo ammonimento di Gesù: “Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare.”

La paura dei “tagli”

Recentemente, ho scoperto anche una nuova schiera di meritevoli del mio disprezzo, forse, dico forse, un po’ meno greve, anche se sempre tagliente, di quello rivolto agli altri beneficiari sopra citati, un disprezzo persino sarcasticamente divertito: i cosiddetti cinematografari, che si sono recentemente esibiti in un isterico agitarsi per una pagnotta finora guadagnata per diritto divino e ora minacciata da qualche tagliettino ai cospicui finanziamenti dello Stato alle loro, ehm, “opere d’arte”. Riassumiamo: una compagnia di registi, attori e guitti, simil-comici, produttori, sceneggiatori e compagnia cantante ha inviato un’astiosa, lamentosa e vittimistica lettera al ministro della Cultura Alessandro Giuli per protestare perché, secondo loro il cinema italiano va male per colpa dello stesso Giuli, del suo predecessore e del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Nomi illustri: Marco Bellocchio, Nanni Moretti, Gabriele Salvatores, Paolo Sorrentino, Paola Cortellesi, Beppe Fiorello, Elio Germano, Valeria Golino e molti altri.   

Ora, parliamoci chiaro: il cinema italiano è quasi totalitariamente in mano alla sinistra. Questo dominio è una componente essenziale ed emblematica dell’egemonia culturale della gauche caviar. Non solo registi, attori, sceneggiatori, ma tutto quel milieu di contorno che comprende frequentatori di terrazze romane di sinistra (“pallidi bevitori di aperitivi”, li avrebbe definiti José Antonio Primo de Rivera), partecipanti e sostenitori a/di eventi di sinistra, trasmissioni televisive (tutte, pubbliche e private) di sinistra, recensori (salvo pochissime eccezioni) di sinistra.

Solo la sinistra

Non si vince un David di Donatello se non con un film di sinistra, basti pensare a una produzione ultra-immigrazionista come Io Capitano, o piagnucolosamente femminista come C’è ancora domani, o smaccatamente comunista come La grande ambizione, un’apologetica, mielosa biografia di Berlinguer, interpretato da quello stesso Germano che ha attaccato con violenza inaudita Giuli e il Governo al discorso di premiazione.

Da notare che il filmetto di propaganda berlingueriana ha ricevuto dallo Stato 2 milioni di denaro pubblico e ha incassato appena 3,8 milioni. Siamo arrivati al punto che tal Luca Marinelli, che ha vestito i panni di Mussolini nella solita produzione di propaganda antifascista (dalle poche immagini che ho visto, più becera del solito), si è dichiarato “sofferente” fino a chiedere scusa agli spettatori per questa interpretazione: “un’esperienza traumatica e crudele”. E ancora: “mia nonna era contraria a questa interpretazione”. Ah, le nonne antifasciste. Chissà se l’aver incassato 1,5-2 milioni di euro di cachet ha lenito la sofferenza sua e della nonna.

Trovatemi un film di destra (intendo di destra vera) apparso nelle sale negli ultimi anni. Vuoi produrre un film? Ci sono degli ingredienti d’obbligo, denuncia Marcello Veneziani: “i soliti quattro: femminismo, Lgbtq, antirazzismo, antifascismo”. Altrimenti non produci, non partecipi alle mostre e ai concorsi cinematografici, non ricevi sussidi. 

Sussidi di stato

Già i sussidi. Perché non ci sarebbero pellicole italiane (salvo pochi casi), se non ci fossero i sussidi dello Stato, cioè di tutti noi. L’idea che film di pura, faziosissima, menzognera, pervertente propaganda sinistrorsa come quelli che citato sopra (ma gli esempi sono centinaia) vengano finanziati con soldi anche miei mi fa torcere le budella. Nel 2023, ad esempio, sono stati prodotti in Italia 402 film: hanno ricevuto dallo Stato 259 milioni di euri. Quanto hanno incassato? 121 milioni. (Fonte: Nicola Porro).

Il quotidiano LaVerità ha condotto, su più puntate, un’accurata e documenta indagine sulla produzione filmica italiana, quasi sempre, per non dire sempre, di sinistra, come già si è detto, e sui finanziamenti che lo Stato ha erogato alle singole produzioni. L’immarcescibile e onnipresente Walter Veltroni ha incassato nelle sale, per il suo Quando, costato 2,7 milioni di cui 1,2 milioni ricevuti dallo Stato, solo 620.000 euri.

Il comico Luca Bizzarri, noto per il suo livore antigovernativo e di ultrasinistra, ha interpretato, assieme a Paolo Kessiloglu Un figlio di nome Erasmus. Costo 4 milioni, di cui 709.000 pagati da noi. Incasso nelle sale: 21.881 euri. Commenta Mario Giordano: “Fatti i conti, l’hanno visto 2.500 spettatori, più o meno come gli abitanti di Sesto in Alta Pusteria”. 

La Mostra cinematografica di Venezia

Il regista di sinistra Guadagnino (nomina sunt omina, i nomi sono segni) ha diretto Queer (ovvio, no?), costato 52 milioni, finanziato da noi con 17, ha incassato nelle sale appena 901.000 euri. Ed è stato candidato al Leone d’Oro e persino anche al premio Queer Lion, istituito a Venezia nel 2007 e riservato “al miglior film con tematiche omosessuali & queer culture”. Il fascistissimo conte Giuseppe Volpi, promotore della Mostra cinematografica di Venezia nel 1932, perseguitato dai vincitori nel dopoguerra, si sarà rivoltato nella tomba, al sapere dell’istituzione, da parte della “sua” Mostra, di questo premio per travestiti e simili. 

Gli esempi di questi scandalosi flop pagati con soldi nostri sono centinaia. Film mai arrivati nelle sale, oppure snobbati dagli spettatori. Eppure l’andazzo continua. D’altronde per i produttori di queste ciofeche di film (e relativi registi, attori, sceneggiatori e così via) il successo nelle sale non è per nulla importante: ciò che importa sono i generosi finanziamenti dello stato. In sostanza: mantenuti con i soldi nostri. E la disaffezione del pubblico italiano per la cinematografia italiana è più che giustificata: film lentissimi con dialoghi pensosi, oppure film presunti comici che inoculano surrettiziamente messaggi mainstream. E ovviamente, una costante, aperta, sfacciata propaganda ora femminista, ora trans-omosessualista, ora immigrazionista e antirazzista, ma comunque sempre antifascista. Scusatemi, ed è solo un esempio, ma perché un italiano sano di mente dovrebbe pagare per andare a vedere un film di tale Giampaolo Morelli (lo conoscete, voi?), titolato L’amore e altre seghe mentali?

Conformismo a Cannes

Può essere una magra consolazione constatare che anche all’estero la presa del conformismo sul cinema è strettissima: a Cannes sono stati ben quattro i film apologetici di Zelensky e dell’Ucraina all’ultima Mostra, intrisi di propaganda atlantista e di menzognera isteria russofobica. Naturalmente chi ha vinto? Il film di un cosiddetto “dissidente” iraniano, ovviamente un cumulo di odio per l’attuale regime di Teheran. In compenso uno degli organizzatori la Mostra ha pesantemente insultato Brigitte Bardot, una delle più grandi attrici del secolo scorso, che si era permessa di criticare la Mostra: “Non credo che abbia la minima competenza”, ha spudoratamente dichiarato tale Thierry Frémaux, delegato generale dell’evento. C’entra il fatto che “l’incompetente” Bardot è da sempre considerata “di destra”?  E, a proposito di attori, c’entrano qualcosa anche le note simpatie putiniane e per la destra di Gerard Depardieu, pesantemente condannato solo per qualche frase goliardica nei confronti di una costumista? 

Hollywood

Negli USA l’opposizione a Trump, ampliamente in minoranza nell’opinione pubblica, è oggi ridotta nei fortini della magistratura, alle élite censuranti e wokiste delle Università del New England e, ovviamente, ai cinematografari, con poche eccezioni come Mel Gibson e Clint Eastwood. Possono, per regolamento, partecipare alla competizione per gli Oscar film nel cui cast vengano equamente rappresentate le cosiddette minoranze “etniche e sessuali” (leggi: negri e froci).  In compenso l’ultima Biancaneve della Walt Disney, sciagurata caricatura dell’originale e della fiaba dei Grimm, con la protagonista mulatta, finti nani, principe non-principe, è stato un flop tremendo. Un duro insegnamento per quella politically correctness della storica casa di produzione che è un aperto tradimento del suo fondatore, notoriamente un ultraconservatore.    

Ora, chiediamoci, quando vedremo il Ministro della Cultura, presunto di destra, addirittura presunto evoliano, smettere di finanziare orribili film di propaganda di sinistra? Quando lo vedremo finanziare film “di destra”, con sceneggiature “di destra”, registi “di destra”, attori “di destra” (ci sono, ci sono…)? Perché non riconoscere che la feroce presa sul cinema da parte della sinistra è una componente dell’aborrita “egemonia culturale”? E perché ritenere questa durissima egemonia culturale una sorta di sciagura inevitabile come i terremoti o gli effetti delle macchie solari? Certo, poi apprendiamo, sgomenti, che lo stesso ministro “di destra” ha deliberato di finanziare, con sei milioni e mezzo di euri, un Museo della Resistenza a Milano.  

Film di qualità?

Recentemente Fratelli d’Italia ha indetto a Firenze un convegno “Spazio cultura. Valorizzare il passato, immaginare il futuro”, per glorificare i risultati della politica culturale del governo, durante il quale il presidente della Commissione Cultura della Camera Federico Mollicone, di provenienza missina per famiglia e militanza, ha escluso ogni volontà “di creare nuove egemonie”. Male, molto male. Allora, perché sei lì?

Un bravo e “storico” intellettuale di destra, Mario Bozzi Sentieri, autore, tra l’altro, di un testo molto ben fatto sulle riviste di destra/destra dal 1944 al 1994: Dal neofascismo alla nuova Destra, ha pubblicato, riferendosi al convegno, un articolo titolato “Qualche piccolo consiglio per una grande politica culturale”. 

L’articolo, per la verità piuttosto “ecumenico”, parla anche di cinema: “Il cinema deve essere in grado di affermare i grandi temi della testimonianza umana, dando senso a quell’identità storica che ha caratterizzato l’esperienza cinematografica e culturale italiana, la quale deve portare dentro di sé elementi creativi e pedagogici alti”. Frase generica e che può andar bene a tutto/i, ma che vogliamo leggere come un invito alla destra a favorire la produzione di film di qualità e ben orientati, ispirati anche alla nostra “identità storica”. Coglierà l’invito la presunta “destra di governo”? Pur scettici, ce lo auguriamo. E possiamo permetterci di ricordare che: “Il cinema è l’arma più forte”? Sì, come molti sapranno, è una frase del Duce.

Antonio de Felip   

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