La Danimarca, celebrata in tutta Europa come patria della democrazia, dell’inclusione e dell’antirazzismo, si ritrova al centro di uno scandalo che mette in crisi proprio la sua immagine di Stato modello. Una giovane madre di etnia inuit, Nikoline Bronlund, si è vista strappare la sua bambina un’ora dopo il parto, sulla base di un cosiddetto “test di competenza genitoriale”. Test che, per legge, non dovrebbe più essere usato, perché giudicato discriminatorio verso gli Inuit della Groenlandia.
Ma qui il paradosso esplode in tutta la sua evidenza. Lo Stato danese, che si erge a difensore di ogni minoranza, ammette in pratica che i bambini inuit non sono pari ai bambini danesi. O si accetta che gli standard minimi di tutela validi per i figli dei danesi non valgano per i figli degli inuit, e allora siamo davanti a cittadini di serie B; oppure si pretende che i genitori danesi debbano essere molto più “performanti” dei genitori inuit per conservare i propri figli, e allora i bambini inuit vengono trattati come se valessero meno, come se per loro bastasse meno. Entrambe le conclusioni sono deliranti, eppure è su questo terreno che si sta giocando la partita.
La democrazia ipocrita
Il caso di Nikoline lo rende ancora più assurdo: non parliamo di una giovane donna isolata in qualche villaggio artico, ma di una ragazza cresciuta in Danimarca, adottata anche da un genitore danese, integrata e pienamente parte del tessuto sociale. Eppure i servizi sociali hanno sostenuto che la legge che vieta i test discriminatori non si applicasse a lei, perché “non abbastanza groenlandese”. Salvo poi trattarla come inuit “genetica” quando si è trattato di negarle la figlia.
Questa logica da laboratorio di razze non ha nulla di democratico né di inclusivo. È la conferma che sotto la vernice progressista, lo Stato danese riconosce implicitamente l’esistenza di razze, e ne considera alcune inferiori. Il cerchio si chiude: dietro la retorica del Paese più civile del mondo, riaffiora la vecchia idea che non tutti gli esseri umani abbiano lo stesso valore, che alcuni bambini contino più di altri, che certe origini siano un marchio indelebile.
Ecco la vera lezione di questo scandalo: la vetta proclamata della democrazia inclusiva non porta a uguaglianza, ma a esclusione. Non a diritti universali, ma a criteri etnici travestiti da test scientifici. È il ritorno, in piena Europa, del razzismo più elementare, quello che decide la dignità e i diritti non in base alla persona, ma al sangue.
Brian Curto
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