In Italia sono in aumento le famiglie DINK (Acronimo che significa Double Income No Kids), ovvero famiglie che vivono senza figli con un doppio stipendio e che mettono al primo posto i loro interessi e la loro soddisfazione personale alla creazione di una famiglia prolifica.
L’acronimo, preso dalla lingua inglese (ormai l’italiano è sottomesso al lessico d’oltremanica) è stato coniato negli anni ’80.
Fa riferimento ad un fenomeno sociale recente in cui una coppia decide di posticipare la scelta di avere della prole per un determinato periodo di tempo, a volte anche rinunciandovi del tutto, per potersi dedicare allo sviluppo della propria carriera personale.
Tale fascia di persone riguarda comunemente lavoratori abbienti con un profilo economico medio-alto o altissimo che vogliono mantenere un certo status sociale, oppure per motivazioni ideologiche come l’ambientalismo o l’avversione alla sovrappopolazione del pianeta che spingono verso questa scelta di non avere figli.
Caso a parte sono la costituzione deviante della famiglia omosessuale.
Le varianti DINK e la denatalità
Tralasciando le aberranti varianti del fenomeno DINK, ovvero SINK (Single Income, No Kids) e i SINBAD (Single Income, No Boyfriend/Assets/Dude) è interessante come tale fenomeno, in Italia, al contrario da quel che si pensi pende tutto dal lato femminile della coppia.
Secondo i dati Istat il 45,4% delle donne tra i 18 e i 49 anni sceglie volontariamente di non diventare madre.
Per il 17,4% la maternità non rientra infatti nei propri progetti di vita, mentre il 22,2% dichiara di non volere figli nei tre anni successivi, oppure in futuro.
Le motivazioni, presto dette, sono l’incertezza del lavoro, e la paura di ritrovarsi senza un’entrata fissa mentre il figlio non è ancora autosufficiente e la non volontà di fare sacrifici.
Meglio spendere tutto ciò che entra per sé, per la propria soddisfazione perché la vita è breve, e va vissuta appagando le proprie esigenze e i propri “sfizi” .
Senza futuro
Difficile prevedere cosa comporterà, in un prossimo futuro, tutto questo.
In Italia il calo della natalità prosegue in modo costante da alcuni anni, come, ad esempio, nel 2023, quando i nuovi nati sono stati il 3,4% in meno del 2022 e il numero medio di figli per donna è sceso a 1,20, mentre nel 2022 era 1,24.
Tutto questo inevitabilmente si ripercuote sulla società, meno nati uguale meno occupati; meno occupati porta, inevitabilmente, senza contare le altre ripercussioni di tipo economico e sociale, ad un pensionistico e di “welfare” precario e sempre meno equo per chi ha lavorato una vita intera.
Che i “compagni” avessero ragione a considerare l’invasione allogena come una risorsa e una opportunità?
La mia personale speranza è quella di non esser più qui a vedere se tale oscenità dovesse realmente avverarsi.
Paolo Ornaghi
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