La Terra Santa, culla del cristianesimo, sta assistendo a una silenziosa ma drammatica aggressione contro la sua popolazione cristiana, come emerge con preoccupante chiarezza dalla notizia riportata da Daniele Rocchi. Il villaggio di Taybeh, l’ultima roccaforte interamente cristiana in Cisgiordania e luogo caro al Vangelo come “Efraim”, è sotto attacco sistematico da parte di coloni israeliani.
I sacerdoti delle tre comunità cristiane locali – Padre Daoud Khoury (greco ortodosso), Padre Jack-Nobel Abed (greco-cattolico melkita) e Padre Bashar Fawadleh (latino) – hanno lanciato un accorato appello, condannando con la massima fermezza i “ripetuti e gravi attacchi” che minacciano la sicurezza, la stabilità e la dignità degli abitanti. L’episodio più recente, del 7 luglio scorso, ha visto coloni appiccare intenzionalmente un incendio nei pressi del cimitero e della storica chiesa di San Giorgio del V secolo. Ma gli attacchi non sono nuovi: già in passato si erano registrate intrusioni in proprietà agricole, atti di vandalismo, spari e la costruzione illegale di avamposti, tutto avvenuto nell’indifferenza delle forze di sicurezza israeliane.
Le provocazioni dei coloni
I coloni continuano a far pascolare le loro mandrie sui terreni agricoli, danneggiando gli ulivi, fonte vitale di sostentamento, e impedendo agli agricoltori l’accesso alla loro terra. La parte orientale di Taybeh è diventata “un bersaglio aperto per insediamenti illegali che si stanno espandendo sotto la protezione militare”, denunciano i sacerdoti, sottolineando che “questi avamposti servono come base per ulteriori attacchi alle nostre terre e ai nostri residenti”. Questo patrimonio spirituale e culturale, preservato da generazioni, è oggi “seriamente minacciato di cancellazione e sfollamento”.
Di fronte a tale escalation, sorge spontanea la domanda sul disinteresse della politica italiana e della stessa Chiesa romana. Forse non è più tempo di indire Crociate ma nemmeno di subire discriminazione e aggressione fisica dai coloni israeliani in modo supino. Sembra che la sudditanza politica a Israele e USA abbia ridotto al silenzio voci che dovrebbero invece levarsi con forza a difesa dei più vulnerabili.
L’appello dei tre parroci a investigare, a esercitare pressioni diplomatiche, a inviare delegazioni internazionali e a sostenere economicamente Taybeh, rimane un grido inascoltato. “La Terra Santa non può restare in vita senza la sua popolazione indigena”, ribadiscono i sacerdoti. L’espulsione dei contadini, le minacce alle chiese e l’accerchiamento dei villaggi sono ferite profonde inflitte al cuore di questa nazione, testimonianza vivente che risale ai tempi di Cristo. Nonostante tutto, gli abitanti di Taybeh rimangono saldi nella fede e nella speranza che verità e giustizia possano ancora trionfare.
Alfredo Durantini
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