IL 7 OTTOBRE UN ANNO DOPO
“Ognuno di noi se fosse nato in un campo di concentramento e da 50 anni fosse lì e non avesse alcuna prospettiva di poter dare ai propri figli un avvenire sarebbe un terrorista… Nel ’48 l’ONU ha creato lo Stato di Israele e lo Stato palestinese, ma mentre lo Stato di Israele esiste, lo Stato arabo non esiste”.
Quando pensiamo al conflitto in Terra Santa dovremmo sempre ricordare queste parole pronunciate al Senato da Giulio Andreotti il 19 luglio del 2006.
Terrorismo
Nel diritto internazionale con terrorismo si intendono azioni violente finalizzate a suscitare terrore nella popolazione. Non c’è dubbio che quella del 7 ottobre 2023 sia stata una gigantesca azione terroristica. Senza volerla minimamente giustificare ma al solo scopo di spiegarla, va ricordato che il terrorismo è l’arma a cui di solito fa ricorso chi deve fronteggiare una soverchiante superiorità militare dell’avversario.
Il 7 ottobre ha generato un cambiamento anche nella comunicazione mainstream. Prima di quella data era possibile sentire nominare semplicemente Hamas. Dopo di allora si è sempre solo letto o sentito dire “I-terroristi-di-Hamas”. Quasi come se il terrorismo fosse una sorta di marchio di fabbrica esclusivo dell’organizzazione palestinese.
Ma come definire il massacro in atto da un anno a Gaza? Bombardamenti indiscriminati su obiettivi civili, compresi ospedali, scuole, ambulanze, sempre e comunque giustificati dalla presunta presenza di terroristi nelle vicinanze? L’uccisione di quasi ventimila bambini è o non è un atto del peggiore terrorismo?
Gli stessi bombardamenti indiscriminati poi estesi al Libano, che a differenza di Gaza è uno Stato sovrano e riconosciuto, sono o non sono azioni terroristiche?
Le esplosioni nei cercapersone manomessi dei militanti di Hezbollah, che hanno colpito uccidendo, menomando, accecando, evirando anche civili che si trovavano nei paraggi come vogliamo chiamarle?
Il 7 ottobre
All’approssimarsi dell’anniversario del 7 ottobre l’azione di guerra israeliana si è allargata a più fronti. Prima la Cisgiordania, subito dopo il Libano, con la scusa di combattere Hezbollah. Quindi la Siria, un tempo potenza dell’area in grado di bilanciare la capacità militare di Israele, oggi nazione esausta e dilaniata dalla lunga guerra all’Isis, altra creatura americana, come ammesso da Hillary Clinton.
La Siria è diventata una specie di campo di addestramento per l’aviazione israeliana che, ogni tanto, si diverte a sganciare qualche bomba qua e là. Pochi giorni fa sono stati colpiti la base russa di Khmeimim e l’aeroporto Bassel al-Assad a Jableh. Anche la Siria è uno Stato sovrano, ma per Israele questi sono dettagli insignificanti.
A questo si aggiunge una lunghissima serie di provocazioni verso l’Iran, di cui ricordiamo le più significative: un attacco israeliano a Damasco, che ha distrutto lo scorso gennaio un edificio utilizzato dalla Guardia Rivoluzionaria iraniana, uccidendo un comandante e uno dei suoi vice, il bombardamento dell’ambasciata iraniana dello scorso 1º aprile sempre a Damasco, che ha portato all’uccisione di sedici persone, tra cui Mohammad Reza Zahedi, un comandante del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, l’assassino del capo di Hamas Ismail Haniyeh addirittura a Teheran, l’uccisione del capo di Hezbollah a Beirut a seguito di un bombardamento che ha distrutto un intero quartiere.
La “liberazione” dell’Iran
Non bastasse questo, Netanyahu ha minacciato apertamente il governo degli ayatollah rivolgendo un messaggio televisivo agli iraniani, in cui affermava che sarebbero stati presto “liberati” – e conosciamo il beffardo significato di questo termine, se usato da USA e Israele – . La reazione di Teheran era inevitabile e si è limitata al lancio di 180 missili balistici su Israele, in parte intercettati, che hanno causato danni ad edifici e una sola vittima. Insomma, Tel Aviv sta facendo l’impossibile per trascinare l’Iran in guerra.
Ma perché? Per chiudere i conti con uno storico e potentissimo nemico? La risposta l’ha fornita lo stesso Netanyahu con il suo discorso alle Nazioni Unite, durante il quale ha mostrato due cartine. Una con evidenziati in nero i cattivi, “La maledizione”: Libano, Siria, Iraq, Iran, e lo Yemen. L’altra con i buoni evidenziati in verde, il “nuovo Medio Oriente”, “La benedizione”: Israele al centro, Egitto, Sudan, Giordania, Emirati, Bahrein, Arabia Saudita.
La Via della Seta
La contrapposizione è tra questi due fronti. Ma se non ci si accontenta della favola della lotta del Bene contro il Male, in cui peraltro il Bene sarebbe rappresentato nientedimeno che da Tel Aviv, si possono trovare motivazioni più prosaiche. Per esempio che Iran, Iraq, Siria e Libano saranno attraversate dalla Via della Seta, attraverso cui le merci saranno trasportate dalla Cina in Occidente, by passando i mari. Questo accrescerà la potenza economica e l’influenza geopolitica cinese e dei BRICS e conseguentemente ridimensionerà quelle degli Stati Uniti e dei loro alleati.
Colpire i paesi de “la maledizione”, ricondurli nell’orbita di Washington, magari dopo averli annichiliti a suon di bombe, arresterebbe o comunque rallenterebbe il percorso oramai inarrestabile verso quel mondo multipolare tanto inviso all’America.
Questa è una possibile e ragionevole spiegazione della ricerca ossessiva dello scontro militare da parte di Israele, che ben volentieri si presta a eseguire il lavoro sporco per conto della Casa Bianca.
Guerra totale
Questo spiegherebbe perché Nasrallah, avendo accettato le condizioni per un cessate il fuoco, ha in realtà firmato la sua condanna a morte. La guerra non deve arrestarsi, semmai deve espandersi.
Tutta questa orgia di sangue sarebbe stata possibile senza il 7 ottobre? Evidentemente no. Israele, per muovere guerra ai “cattivi”, aveva bisogno di una scusa, di un casus belli, che potesse giustificare qualunque intervento, anche il più criminale. C’era bisogno di una motivazione eclatante, un evento traumatico che lasciasse sotto choc non solo la nazione colpita ma il mondo intero.
Un 11 settembre, una Pearl Harbour mediorientale. Ecco perché, pur sapendo da oltre un anno dell’organizzazione del blitz, Tel Aviv ha lasciato fare, fingendo di sottovalutare l’azione di Hamas anche dopo le segnalazioni dell’Egitto.
Se poi si vuol credere alla barzelletta secondo cui i servizi segreti più efficienti del mondo, capaci di intercettare i cercapersone di Hezbollah e manometterli, di eliminare Haniyeh a Teheran, si siano lasciati beffare tanto clamorosamente quel 7 ottobre…padronissimi di farlo!
Raffaele Amato
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