La vicenda di Monsignore Viganò assurge drammaticamente a specchio fedele delle labirintiche contraddizioni e delle complesse ambiguità che da troppi anni affliggono la vita della Chiesa, ostacolando l’organica attuazione di un suo provvidenziale e rigoglioso apostolato missionario.
Una corretta analisi degli scottanti risvolti del “caso”, costringe ad accantonare pericolosi atteggiamenti emotivi e merita di essere affrontata con serena oggettività, avendo a cuore il bene supremo della Chiesa e delle anime.
La personalità
Non è compito di queste brevi note, né rientra fra le competenze dello scrivente la ricognizione dei particolari aspetti giuridici e disciplinari della scomunica comminata dalla Santa Sede al presule italiano; esse tendono piuttosto a richiamare l’attenzione dei credenti sulla problematicità della sua personale posizione che, se pur determinata da ragioni difficilmente confutabili, mediante il rifiuto di riconoscere Bergoglio come Papa, sfocia in una opzione oggettivamente scismatica, analoga a quella da lui contestata all’attuale gerarchia.
Circa i contenuti dottrinali che hanno puntualmente scandito le sue vigorose denunce riguardo alla tragica situazione della Chiesa dei nostri giorni, non abbiamo difficoltà a ribadire quanto da noi scritto in precedenti articoli; vale a dire, che non si può seriamente negare la fondatezza dei rilievi prospettati dall’arcivescovo in relazione al nesso non accidentale tra la declinazione apertamente antropocentrica della nouvelle theologie sostenuta dal concilio Vaticano II e la precipitosa accelerazione della deriva neo-modernistica in atto con il pontificato Bergogliano.
La confusione
Per prevenire letture tendenzialmente equivoche della realtà ecclesiale contemporanea, occorre guardarsi dalla confusione, teologicamente erronea tra la Chiesa e i suoi odierni esponenti.
Per quanto tra costoro sia diffusa la tendenza a sovvertire la fede in funzione di una sua progressiva e snaturante conformità a pregiudizievoli sollecitazioni di tipo secolaristico, è bene ricordare che la costituzione divina della Chiesa non ammette gli arbitri di chi, al vertice, si proponesse di alterarne la fisionomia o di tradirne le inderogabili finalità.
Parimenti, giova chiedersi se la vigile fedeltà alla Tradizione e la solerte difesa della Liturgia dai ciechi furori desacralizzanti balenati in conseguenza della sovversione post-conciliare, possano legittimamente concretarsi nella volontaria separazione da una realtà istituzionale che, sebbene influenzata dalle inedite innovazioni “pastorali” di una gerarchia intenta a sminuire l’importanza decisiva della sana dottrina e la solenne dignità dei riti, si identifica con la sola Chiesa visibile voluta e fondata da Nostro Signore.
Nella diabolica confusione che inquieta le coscienze di numerosi cattolici, incombono due insidie che, sia pure in diverse proporzioni, contravvengono alla necessità di preservare uno spirito autenticamente e lealmente ecclesiale: esse sono rappresentate dal neo-modernismo e dal sedevacantismo, che adombrano rispettivamente una Chiesa senza tradizione e una tradizione senza Chiesa.
Fronteggiando con l’ausilio soprannaturale della Grazia il dilatarsi di accerchianti strategie anticristiche in ogni sfera della vita sociale, preghiamo perché le ombre che coprono temporaneamente lo splendore del Corpo Mistico siano quanto prima dissipate e si adempia finalmente la promessa del Divino Maestro: “portae inferi non praevalebunt”.
di Paolo Rizza
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Proprio perché l’argomento è complesso, le implicazioni canoniche e teologiche molteplici, avrei preferito un approccio meno apodittico rispetto alla severa condanna dell’autore delle posizioni di Monsignor Viganò, le cui idee sono condivise da molti tra coloro che, per semplicità, definiamo “tradizionalisti”. La condanna senza appello dell’Autore invece sembra ignorare le molte polemiche e critiche (anche da un punto di vista della validità canonica) riguardo alla “scomunica” irrogata (a proposito, la legge commina, il giudice irroga) a Monsignor Viganò. Mutatis mutandis, ci troviamo di fronte al dilemma che tormentò molti fedeli, sottoscritto compreso, di fronte alla scomunica contro Monsignor Lefebvre. Nel caso di Monsignor Viganò, è valida una scomunica contro chi è solo “colpevole” di mettere in luce le molte troppe negazioni (possiamo chiamarle eresie o quanto meno gravi errori teologici rilevabili da chiunque possegga un minimo di sensum fidei) della Tradizione e della Dottrina di sempre da parte di Bergoglio? Eresie che, secondo alcuni teologi (ammetto che la questione è aperta e non definita) comporterebbero la “decadenza” dal Soglio? Interessante, a questo proposito, la lettura del libro “Ipotesi teologica di un papa eretico” di Arnaldo Xavier da Silveira, curato da Roberto de Mattei, Solfanelli editore. Inoltre, ancorché sostenuti da posizioni minoritarie e confutate, con qualche argomento, dalla maggioranza, i dubbi, sotto molteplici aspetti, riguardo all’elezione di Bergoglio continuano a sussistere. Proprio l’indeterminatezza della questione avrebbe comportato, a mio parere, un giudizio più sfumato sul coraggioso Monsignor Viganò o, quanto meno, un prudente silenzio.
Antonio de Felip