Il 14 luglio non è solo la data della presa della Bastiglia in Francia. Per molti calabresi, è l’inizio di una delle pagine più infuocate della storia del Sud Italia nel dopoguerra: la rivolta di Reggio Calabria del 1970.
Una città dimenticata, lasciata indietro, tradita nelle sue speranze, esplose in una protesta popolare destinata a durare mesi. A guidarla, con carisma, rabbia e spirito di sfida, fu Ciccio Franco, il “sindacalista rivoluzionario” che divenne il simbolo di una città in lotta.
Una scintilla accesa al Sud Tutto iniziò quando il governo italiano, nel ridisegnare la geografia istituzionale delle nuove Regioni, decise di assegnare a Catanzaro – e non a Reggio Calabria – il ruolo di capoluogo della Calabria.
Una decisione accolta come un affronto da migliaia di reggini, che da decenni subivano isolamento, povertà e promesse mancate. Il 14 luglio 1970, la città esplose. Scioperi, manifestazioni, barricate, scontri con la polizia. Non fu una rivolta “di destra” o “di sinistra”. Fu un moto popolare trasversale, un grido di dolore che univa operai, studenti, commercianti, disoccupati.
Ma nel caos emerse una figura destinata a far discutere: Francesco “Ciccio” Franco, sindacalista della CISNAL, ferroviere, uomo carismatico, di destra, capace di parlare al cuore della gente di ogni appartenenza politica. Ciccio Franco: il volto ribelle di Reggio Capelli neri, voce roca, pugno chiuso o alzato a seconda delle platee, Ciccio Franco diventò il megafono della rivolta.
Condannava lo Stato per aver umiliato Reggio, guidava cortei e assemblee, si opponeva ai compromessi, parlava di “sud dimenticato”, di “giustizia per il popolo calabrese”. Molti lo definirono un “fascista”, altri un tribuno del popolo.
In realtà, Franco sfuggiva alle etichette: era un uomo radicato nel suo territorio, legato visceralmente alla sua città, disposto a tutto pur di darle dignità. Fu arrestato, fu censurato, ma mai messo a tacere. Dalla rivolta uscì rafforzato: nel 1972 venne eletto senatore del Movimento Sociale Italiano, portando la sua voce dentro le istituzioni. Una ferita ancora aperta La rivolta terminò nel 1971, dopo sanguinosi scontri e un lento, amaro ritorno alla “normalità”.
Il governo concesse alcune misure speciali per Reggio, ma il senso di abbandono non fu mai cancellato. La città ne uscì divisa, ferita, e allo stesso tempo orgogliosa di aver alzato la testa. Ciccio Franco rimase una figura di rilievo fino alla sua morte nel 1991. Per alcuni un sovversivo nostalgico, per altri un eroe popolare.
Ma tutti, ancora oggi, lo ricordano come l’uomo che osò sfidare Roma per amore della sua terra.
Un Sud che non dimentica La rivolta di Reggio Calabria non fu solo una questione di “capoluogo”. Fu lo specchio di un’Italia divisa, in cui il Sud lottava per non essere periferia.
Il 14 luglio non è una data da archiviare, ma da ricordare come un simbolo di resistenza e identità.
E Ciccio Franco, con tutte le sue contraddizioni, resta la voce rabbiosa e appassionata di quel Sud che non ha mai smesso di chiedere giustizia.
Valerio Arenare
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