Doveva essere la serie evento, il racconto “necessario”, forse anche per spiegare alle nuove generazioni chi fosse davvero Benito Mussolini.
Eppure, M. Il figlio del secolo, tratta dal romanzo di Antonio Scurati, si è fermata alla prima stagione, senza certezze sul prosieguo. Ufficialmente per motivi produttivi. Ufficiosamente, forse, per una certa disconnessione tra l’ambizione iniziale e i risultati concreti.
A fronte di un buon riscontro estero, il progetto in patria sembra aver perso slancio. Come mai? La serie – come il libro da cui è tratta – non cerca tanto di indagare il tempo storico, quanto di insistere su un racconto già impostato.
Il Duce è presentato secondo uno schema ben definito: determinato, spietato, ossessionato dal potere. Una rappresentazione costruita con cura, ma che lascia poco spazio a sfumature o interrogativi. Il passato diventa così un fondale statico, più utile a ribadire un messaggio morale che a stimolare riflessione.
Ma il punto più curioso emerge fuori scena. L’attore Luca Marinelli, interprete del protagonista, ha dichiarato in più occasioni di aver vissuto con fatica il ruolo, definendolo un’esperienza “devastante”, difficile da gestire emotivamente, vista anche la sua personale distanza ideologica.
Un turbamento che sorprende, considerando che il personaggio era delineato in modo coerente con il sentire dominante e con l’impianto morale della serie. Sorge allora una domanda lecita: se il ruolo era già filtrato da una lettura fortemente critica, cosa rendeva così impegnativo interpretarlo?
Il disagio nasceva dal dover “sospendere il giudizio”, come dichiarato dall’attore: ma il copione non chiedeva forse di entrare in un personaggio negativo, senza contraddizioni? Nel frattempo, si celebra il successo internazionale dell’opera – e indubbiamente la serie ha trovato visibilità all’estero, soprattutto su piattaforme attente a contenuti dal forte taglio ideologico. Ma in Italia, nonostante l’eco mediatica, tutto si è fermato.
Viene da chiedersi: se il prodotto è solido, culturalmente necessario e apprezzato, perché non proseguire? Non sarà che l’intento di denuncia, ripetuto troppo a lungo, finisce per diventare prevedibile?
Il problema che a noi appare non è l’aver criticato Mussolini – ci mancherebbe. È l’aver rinunciato a raccontarlo nella sua complessità storica e politica, limitandosi a metterne in scena un profilo già confezionato, senza interrogativi reali.
Si è preferito confermare un’idea già sedimentata, piuttosto che aprire uno spazio di riflessione autentica. M. Il figlio del secolo rappresenta così una tendenza culturale del nostro tempo: usare la storia per riaffermare certezze, non per metterle in discussione.
Il pubblico però, almeno in Italia, dimostra una sensibilità più matura: sa distinguere la narrazione appassionata da quella costruita, e forse non si accontenta più di fiction che sembrano tesi travestite da racconto.
Se la seconda stagione non si farà, non sarà certamente per mancanza di pubblico. Forse sarà “solo” per mancanza di prospettiva.
Gianluca Mingardi
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