Quando aiutare diventa un crimine, il silenzio vale più della vita e solo una voce come quella del nuovo Papa – può spezzarlo
Non c’è pace nei numeri. Solo corpi. Corpi senza nome, senza volto, senza destino.
Corpi che galleggiano in mare, scompaiono nei deserti, nei centri di detenzione, nei sobborghi bombardati. I diritti umani, branditi come bandiere da salotto da chi non ha mai messo piede fuori da Bruxelles o da un talk show, sono diventati merce politica. Parole che coprono l’impotenza, che mascherano l’omertà. Perché sì, l’omertà esiste anche qui, nella nostra civilissima Europa: è quella dei governi, delle istituzioni internazionali, delle ONG che sanno ma tacciono, che raccolgono fondi ma lasciano morire, che si indignano nei comunicati ma voltano lo sguardo davanti ai fallimenti.
Il Sistema ha vinto, lo dice uno che il sistema ha provato a combatterlo davvero.
Nicolò Govoni, italiano, dodici anni di missioni umanitarie sul campo, ha lasciato il Sud Sudan. Non per debolezza, ma per sopravvivenza.
Dopo anni di guerre, minacce, fughe, questa volta ha sentito la paura vera: quella che ti si attacca alla pelle, che ti sveglia la notte, che ti dice che questa volta non puoi salvare nessuno. Nemmeno te stesso.
Lo hanno braccato, minacciato, fermato per ore. Perché? Perché era uno straniero con una scuola, in un Paese dove la vita vale meno di zero.
Ecco cos’è diventato oggi l’aiuto umanitario: un rischio mortale, un crimine di esistenza.
Eppure, di tutto questo, nessuno scrive. Non fa notizia. Non interessa.
Il mondo potrebbe essere un posto dove si vive tutti in pace. Non è una favola: è possibile, se solo l’uomo smettesse di cercarsi allo specchio e iniziasse a guardare oltre il proprio ego. Invece scegliamo la guerra delle differenze, perché senza nemici l’uomo non sa vivere.
E allora i diritti umani diventano numeri. Le ONG diventano strumenti I morti, carburante per l’indignazione a ore.
E chi prova davvero a costruire qualcosa come Govoni è costretto a scappare. Chi racconta la verità, rischia la pelle. Chi urla l’ingiustizia, viene zittito. E intanto noi qui, a fare finta che basti un hashtag a salvare il mondo.
Conclusioni: E non si muore solo di guerra.
Si muore di tratta, di sfruttamento, di trapianti clandestini, di addizioni chimiche forzate per esperimenti o filiere criminali, di schiavitù moderna in cantieri, serre e fabbriche invisibili.
Si muore ogni giorno per far girare un mondo che finge di non vedere, che nasconde sotto il tappeto i propri orrori sistemici, mentre si riempie la bocca di parole come accoglienza e solidarietà.
È il grande mercato dei corpi, dove il più debole è solo una risorsa da spremere o eliminare.
È tempo di urlarlo al mondo.
Al nuovo Papa Leone XIV, che ha mostrato cuore, forza e coraggio, chiediamo potenza spirituale e politica.
Chiediamo che non si limiti alle preghiere, ma che rompa il silenzio delle istituzioni, che scenda tra gli ultimi, che usi il suo ruolo per inchiodare i colpevoli, smascherare la rete del cinismo globale. Perché i morti del mare, del lavoro, delle guerre dimenticate non sono solo una tragedia: sono un’accusa. E gridano giustizia.