Le masse cercano conforto, non verità: chi pensa con la propria testa diventa un problema
Le folle non vogliono la verità, vogliono conforto. La verità è ruvida, scomoda, spesso dolorosa.
Non accarezza l’ego, non lusinga i desideri, non si lascia ingabbiare in uno slogan. Richiede coraggio per guardarla in faccia, umiltà per ammettere di aver sbagliato, discernimento per distinguerla dal rumore delle opinioni.
E soprattutto richiede solitudine, perché spesso la verità non marcia in corteo, ma cammina da sola.
Le masse preferiscono un’illusione comoda a una verità che inquieta.
Quando la realtà non piace, si maschera, si distorce, si insulta. Meglio una bugia rassicurante che una verità spoglia.
Così si costruisce il culto dell’errore: lo si celebra, lo si chiama “giustizia” “libertà”, “progresso” purché confermi ciò che si vuole sentire.
Chi prova a spezzare l’incantesimo viene zittito, ridicolizzato, espulso. L’individuo che pensa con la propria testa è un problema, perché non si allinea, non si conforma, non applaude a comando.
E allora diventa pericoloso. Nella storia, chi ha detto la verità è stato spesso processato, crocifisso, censurato.
Chi ha venduto illusioni ha invece raccolto applausi, potere, poltrone.
La verità non porta voti, non scalda i cuori delle folle.
Resta lì, come una lama affilata in mezzo al brusio, pronta a tagliare il velo quando qualcuno troverà il coraggio di guardare davvero.