Dunque, la domanda è di quelle che fanno tremare chi ha passato la vita a idolatrare il “modello americano”: ma Trump, alla fine, ha torto? No, non stiamo parlando del suo taglio di capelli o delle sue uscite notturne su X. Parliamo di quella volta in cui ha osato puntare il suo musone da cinghiale ben nutrito contro il Sacro Tempio dell’eccellenza privata: l’università di Harvard.
Per anni, ci hanno venduto Harvard come il simbolo della libertà, del merito puro e del “se non hai i soldi, arrangiati e chiedi un mutuo ventennale”. Ah, il brivido di dover ipotecare anche l’anima per un titolo di studio! Era il vangelo secondo Milton Friedman, la Mecca dei capitalisti illuminati: “Noi siamo privati, facciamo quello che vogliamo, e se la beneficenza fosse di moda, sarebbe già stata quotata in borsa!”
Poi, arriva Trump. E cosa fa il nostro eroe (o antieroe, a seconda dei gusti)? Inizia a spulciare i conti e scopre che Harvard, quella “privata” che disprezzava lo Stato manco fosse un parente povero alla cena di Natale, in realtà ciucciava fondi pubblici a palate. Miliardi, mica noccioline. Come un vampiro finanziario, solo meno elegante e con una contabilità più opaca. L’università più cool, più efficiente, più market-orienteddell’universo conosciuto… prendeva i soldi del contribuente, mentre predicava l’autosufficienza come un monaco buddista la castità. Il castello di carte, o meglio, di banconote verdi, ha iniziato a tremare.
Il Tempio del Merito (a spese altrui)
Ma non è finita qui. Trump ha anche osato toccare i vantaggi fiscali. Perché Harvard non è solo un’università, è una 501(c)(3)! Tradotto per i comuni mortali: è una ONLUS col pedigree, un ente di beneficenza che fa beneficenza… soprattutto a se stesso. Esenzione totale dalle imposte sul reddito, niente tasse sulla proprietà, esenzione su donazioni, e deducibilità a pioggia per i donatori. Praticamente, una specie di Bermuda fiscale con campus e biblioteche. Tutto questo mentre il suo endowment di 50 miliardi di dollari faceva investimenti speculativi e si faceva rimborsare pure il rotolo di carta igienica dal contadino del Minnesota indebitato per 30 anni con il MBA. La faccia tosta, insomma.
E il bello è che, quando Trump ha minacciato di tagliare i rubinetti, da Harvard è partito un urlo acuto, indignato, vagamente isterico. Un urlo che non sembrava affatto quello di un’istituzione privata e indipendente, ma piuttosto quello di un azionista dell’erario che si vede tagliato il dividendo. La morale? L’università americana non è un “tempio del merito privato“. È un gioco delle tre carte, dove la carta vincente è sempre lo Stato, che paga e non chiede nulla in cambio.
Il confronto transatlantico: chi è più “privato”?
Insomma, mentre noi, “maledetti comunisti europei”, con le nostre università pubbliche, accessibili e spesso gratuite, venivamo disprezzati dagli adoratori del “modello americano”, si scopre che lo Stato USA spende molto di più per mantenere le sue università “private” di quanto l’Europa spenda per le sue pubbliche. Un vero capolavoro del “capitalismo truccato“, dove l’università si veste da ente privato per giustificare prezzi da finanziaria svizzera, ma poi, dietro le quinte, incassa fondi pubblici a pioggia. E, in cambio, ti regala qualche post su Instagram di studenti sorridenti.
La mascherata è finita. Quell’idea di “privato eccellente“, incarnata da Harvard e venduta al mondo come l’apice della civiltà accademica, è crollata come un castello di sabbia sotto un’onda anomala trumpiana. Non era eccellenza, era privilegio travestito. Non era libertà di mercato, era rendita di posizione. E non era indipendenza: era dipendenza profonda, strutturale, sistemica, dal denaro pubblico che si fingeva di disprezzare.
Trump ha torto? Forse no.
Quindi, alla fine, ha torto Trump? Forse no. Almeno su questo, il nostro cinghialone preferito ha avuto il merito di smascherare l’ipocrisia del mito americano e di mostrarci come, nella terra del “privato che funziona”, il governo americano sia riuscito a collezionare oltre 33 trilioni di dollari di debito pubblico. Perché, a quanto pare, quel “privato” è spesso solo un ente pubblico in maschera. Una creatura parastatale travestita da superuomo del capitalismo.
E questo, ai bocconiani e ai neocons all’amatriciana, dovrebbe far riflettere. Perché, da questo sogno americano, vi siete risvegliati scoprendo che era indebitato. E con una bella sbronza di ipocrisia.
Redazione
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