Il 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne, è passato, con il suo carico di paradossi e di contraddizioni. A partire dalle manifestazioni di piazza, che avrebbero dovuto essere di protesta contro, appunto, la violenza, ed erano invece zeppe di rabbia, di slogan e atteggiamenti apertamente violenti.
La foto bruciata del Ministro Valditara, reo di aver denunciato l’incidenza dell’immigrazione clandestina sugli abusi sulle donne e di aver negato l’esistenza ai giorni nostri del problema del patriarcato, è la cifra del linguaggio di odio adoperato abitualmente dalle cosiddette “transfemministe”. Ancora una volta, è proprio il linguaggio a rivelare la vera natura e i veri obiettivi di un movimento.
Violenza e urbanistica di genere
Il mantra che sentiamo sempre più spesso ripetere è legato al “genere”. Violenza di genere, nella fattispecie. Quasi a dire che sia da condannare non la violenza tutta ma solo quella contro le donne. Dovrebbero quindi essere considerati episodi accettabilissimi e poco più che goliardici gli assalti contro le sedi Pro Vita o contro il convegno sul diritto alla vita organizzato da CL all’Università Statale di Milano.
Ci sono poi gli “stereotipi di genere” frutti della temibilissima e pervasiva “cultura patriarcale”. Stereotipi che il femminismo sta cercando di rovesciare, creando a sua volta nuovi stereotipi, solo più innaturali. Ma non è tutto.
La sera del 25 novembre, un’intervista al tg regionale dell’Emilia-Romagna a Eva Kail, urbanista austriaca e fondatrice del “Frauenbüro – l’Ufficio delle donne” di Vienna ci ha illuminati circa l’esistenza della cosiddetta “urbanistica di genere”.
Secondo Kail, le città sono progettate da uomini, per di più automobilisti – categoria ancora di più invisa al mondo Woke e Green -, cosa che inciderebbe drammaticamente sull’assetto delle nostre città. Il fatto che anche le donne siano automobiliste non sembra nemmeno sfiorare i pensieri della luminare. Quindi ecco la soluzione: ripensare le città secondo le esigenze di genere.
Urbanistica di genere
E Kail fa alcuni esempi su come procedere: le abitazioni dovrebbero avere sempre almeno una finestra sulla strada, così se una donna viene aggredita, chi è in casa può accorgersene e avvisare la polizia. Ora, al di là del fatto che diventa difficile, per non dire comico, immaginare dei palazzi moderni con tutti gli appartamenti che affaccino sul lato strada, tali da consentire ai residenti di svolgere la funzione di vedette in servizio permanente effettivo, ma cosa c’entra il genere? La malcapitata persona vittima di aggressione non potrebbe essere un uomo?
Altro esempio della Kail: le aggressioni avvengono più frequentemente quando si infila la chiave nella serratura del portone per entrare; quindi, è bene illuminare abbondantemente gli ingressi dei palazzi. Intuizione più da elettricista che da urbanista, ma, anche in questo caso, cosa c’entra il genere? Anche gli uomini sono esposti a rischio aggressione entrando in casa.
E ancora: realizzare marciapiedi più larghi, per facilitare il transito di donne con bambini in carrozzina. Ottimo, ma ne beneficerebbero anche i disabili, che sono di entrambi i sessi. E allora ben si capisce che la cosiddetta urbanistica di genere altro non è che una serie di soluzioni migliorative -quando applicabili- per tutti, non per il solo genere femminile.
Il disvalore della virilità
Per cui il lemma “genere”, ripetuto fino allo sfinimento, diventa uno strumento al servizio di un’ideologia che mira alla contrapposizione tra i sessi. Una forma di sessismo spietato e capovolto che vede nell’uomo – specie se bianco ed etero – l’origine di ogni male, un nemico da combattere e da rieducare.
La virilità, di conseguenza, è un disvalore da cui purificare la società, attraverso l’esaltazione del “lato femminile” e la mortificazione di tutto ciò che è maschile. Ma oltre alla guerra tra i sessi, l’obiettivo di questa turpe ideologia, che viene da lontano, è un altro: la distruzione della famiglia.
Non a caso uno degli slogan delle manifestazioni del 25 novembre era: ”l’uomo violento ha le chiavi di casa”. Quindi la famiglia, per il pensiero femminista e nichilista, diventa la sede degli abusi, una sorta di girone infernale da demolire e da cui liberarsi. Perché lì c’è l’uomo. Anzi, per usare la terminologia fucsia, “il maschio”.
Raffaele Amato
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