Reportage dalla Terra Santa pt.8
Betlemme, Casa Nova, 18:10
Il disegno che vedete l’ha fatto Z., un poliziotto a guardia della grotta della Natività.
Betlemme. Stavo camminando di fronte alla basilica e a un certo punto, non sono sicuro, uno sguardo, un cenno d’intesa e il poliziotto mi saluta, i nostri occhi si erano già incrociati poco prima, dopo che il custode della grotta mi aveva fermato mentre mi dirigevo verso la Natività e, farfugliando qualcosa in un ‘anarchica esplosione di ‘ ḥāʾ’ aspirate nel moto di compressione della faringe con la radice della lingua, mi aveva fatto capire in un inglese ben masticato che la basilica era appena stata chiusa e che sarei potuto tornare il giorno dopo.
Il custode era un omone dall’aspetto paffuto, il volto incorniciato da una madida e liscia barba, in un prepotente contrasto con la carnagione di un nocciola tostato, asciutto nelle lunghe braccia che si stendevano lungo i fianchi e fuoriuscivano dalle maniche corte della sua camicia aderente al gonfio e tondo ventre, dove i bottoni, uno dopo l’altro, erano pronti a schizzare via dalle asole, a lanciarsi in un vuoto liberatorio.
Un caldo secco
Quando mi fermo il poliziotto mi domanda come mi sento, gli rispondo che è davvero caldo, ma un caldo secco, sicuramente migliore delle estati italiane, tipicamente pervase da un’umidità che ti inzuppa come un savoiardo intinto nel caffè. Lui mi risponde che questa è una di quelle settimane eccezionali, uno di quei periodi in cui il caldo torrido ti sfianca, temperature che ti sbattono letteralmente a terra.
Restiamo ancora in piedi per un po’ di tempo e mi racconta che è stato in Italia una volta, a Roma, durante un soggiorno di due settimane per studiare insieme ai Carabinieri, per un corso di formazione all’interno di un qualche programma governativo. Ovviamente non può fare a meno di dire che Roma è grande, «it’s huge», e io aggiungo che non solo è una città immensa, ma è anche caotica ed entrambi scoppiamo a ridere.
Ad un tratto, davanti a noi passano due uomini, entrambi sulla cinquantina, e il saluto è reciproco, intimamente sentito e confidenziale. Quando si congeda da loro, subito mi domanda gentilmente se vogliamo sederci lì vicino, accanto all’ingresso della Natività, e ci sistemiamo comodamente sopra il tronco di una colonna dorica recisa alle estremità e riprendiamo a conversare. Gli domando come si vive qui in Palestina e qual è il loro rapporto con i territori al di là del muro; lui sorride e inizia: «my brother».
Lo sconforto dei decenni di conflitti
La vita è difficile, è schietto, non gira troppo intorno a quanto pensa, si esprime quasi liberamente, senza troppe remore, ma il giudizio è come una spessa schiuma che però rimane in superficie, non sprofonda nell’odio e nella cattiveria. Tuttavia, da quella superficie decennale di conflitti e di opinioni emerge lo sconforto, una difficile condizione di vita viene da me percepita, è una tensione, un’energia inevitabile che penetra le membra.
Mentre conversiamo estrae un pacchetto di sigarette e me ne offre una. Non posso rifiutare, non me la sento, anche se oramai sono mesi che ho smesso di fumare e vorrei evitare. Ma immediatamente penso che quella situazione, quel contesto lo richiedono, non voglio provocare un dispiacere a questa persona, non me la sento, se rifiutassi sento che potrei offenderlo, perciò mi decido, gli dico di sì e mi porge una sigaretta. Fumiamo, e non è poi così male, pur non fumando da tempo.
Sì, me l’ha detto, la vita è difficile, qui l’esistenza viene costantemente messa a dura prova, prima di tutto sul piano economico. È vero, dal momento che lavora all’interno delle forze dell’ordine la sua posizione è agiata, è un’istituzione che qui garantisce periodicamente un’entrata e una sicurezza, diversamente da altre realtà. Eppure, la difficoltà di andare avanti, mantenere una famiglia, quell’azione estrema di restare a galla con tutti gli sforzi fisici e mentali è una missione quotidiana, e non solo per lui, ma per tutti coloro che vivono al di qua del muro.
Riccardo Giovannetti
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