Le ultime elezioni regionali in Toscana hanno offerto un quadro chiaro e senza appello: la sinistra continua a dominare, consolidando una posizione storica e culturale radicata nel territorio.
Il centrosinistra ha ottenuto un vantaggio netto, distanziando gli avversari in maniera schiacciante, mentre quasi metà degli aventi diritto ha scelto di restare a casa.
L’astensionismo non è un dettaglio: è il sintomo evidente di un elettorato che non si riconosce in nessuna proposta politica. In questo contesto, la responsabilità maggiore, verosimilmente, ricade su una destra senza identità storica e sociale, incapace di costruire una proposta coerente, credibile e di intercettare chi oggi non va a votare.
Un elemento centrale a supporto di quanto sopra, sembra essere il cosiddetto “effetto Vannacci”.
L’idea di puntare su figure carismatiche come traino per la Lega si è rivelata perdente. Al contrario di quanto sperato, Vannacci non ha mobilitato nuovi elettori, ma sembra aver alienato il segmento moderato del centrodestra.
Vannacci ha pagato la narrativa su Gaza che, piaccia o meno, ma ha caratterizzato il dibattito politico e probabilmente ha alienato una parte importante dei quadri toscani pensando che lo Tsunami potesse abbattersi comunque sulle coste toscane.
Un successo iniziale
Un passo falso che forse è da interpretare come il primo sintomo di un politico che non ha saputo capitalizzare il successo iniziale avuto dopo le elezioni europee.
Il risultato parla di un crollo della Lega sotto il 5%, mentre Forza Italia e altre forze moderate sembrano aver avuto maggiore presa, suggerendo che un approccio più morbido, presentabile e istituzionale avrebbe potuto risultare più efficace.
La sinistra, dal canto suo, ha consolidato il consenso anche attraverso la narrazione etica.
Temi internazionali come la Palestina o i diritti umani sono stati ancora strumentalizzati come marchi di legittimazione morale, facendo leva su un elettorato urbano, giovane e sensibile ai simboli.
Pur senza avere un impatto diretto sulla maggioranza degli elettori toscani, questa narrativa ha rafforzato l’immagine di una sinistra come forza “morale”, capace di parlare di giustizia e diritti universali.
E La destra radicale? Come inserirsi in questa narrazione? Come interpretare queste elezioni?
Comincerei dicendo che delegando la narrazione degli argomenti cavalcati dai nostri avversari politici, si rischierebbe di lasciare loro il monopolio della legittimazione etica, un vantaggio che si traduce in consenso concreto.
Approfondendo l’analisi e studiando come ottimizzare la diffusione delle nostre riflessioni, la destra radicale si potrebbe affacciare concretamente sulla scena politica e, emancipandosi dagli stereotipi che ne deformano l’immagine pubblica, farsi sempre maggiore spazio.
L’opinione comune ha spesso accostato le nostre forze a gruppi disordinati e rumorosi, talvolta paragonandole, in un paradosso evidente, ai centri sociali: realtà ideologicamente opposte, ma percepite come simili nell’incapacità di presentarsi con autorevolezza.
Destra radicale da valorizzare
La destra radicale “potrebbe e dovrebbe” valorizzare le proprie figure più affidabili e intellettualmente solide, proponendo competenza e serietà come elementi distintivi. In questo modo, il messaggio politico potrebbe essere percepito come legittimo, rispettabile e coerente, sottraendolo all’immagine di fenomeno marginale o di semplice protesta rumorosa.
Non si tratterebbe di rinnegare l’identità o i valori: la radicalità viene mantenuta, ma tradotta in forme istituzionali concrete, strumenti politici chiari e un linguaggio persuasivo. La destra radicale “potrebbe e dovrebbe” comunicare il proprio progetto senza senza cadere in provocazioni e quindi evitare che la stampa o le narrative dominanti la definiscano come un fenomeno folkloristico o pericoloso.
La credibilità istituzionale diventerebbe, in questo scenario, un elemento strategico: la capacità di mostrare disciplina, coerenza e competenza potrebbe finalmente rendere questa destra un’alternativa reale e percepita come legittima.
La lezione della Toscana appare pertanto duplice e ammonitrice: la sinistra vince perché ha consolidato un blocco storico e culturale, ma soprattutto perché la destra italiana è stata svuotata dei propri contenuti venendo meno alle promesse elettorali e ad un progetto politico serio.
Ecco perché la destra radicale “potrebbe e dovrebbe” trasformarsi da movimento di protesta in forza istituzionale, capace di mantenere e affermare i propri valori intercettando chi oggi resta a casa, offrendo larga rappresentanza sociale e costruire consenso reale.
Così si potrebbe sfidare la sinistra su tutti i terreni, dalle politiche locali ai grandi temi simbolici e restituire dignità e protagonismo a un elettorato tradizionalmente dimenticato.
Gianluca Mingardi
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