Da anni molti gruppi di motociclisti sono seriamente impegnati a contrastare la pedofilia, soprattutto quando le pene appaiono clamorosamente lievi e gli autori delle violenze sono recidivi.
Qui un raduno di bikers canadesi a St. Catherines, Ontario.
I dimostranti chiedono che venga loro consegnato un pedofilo che ha stuprato una bambina di tre anni.
I gruppi di bikers sono attivi in vari paesi, sia in America che in Europa. Non si tratta di una lotta puramente “simbolica” fatta di dichiarazioni ufficiali sui social o di semplici slogan urlati ai raduni.
I bikers hanno sviluppato e affinato negli anni una vera e propria strategia che porta a frutti concreti. Hanno numeri di telefono per emergenze: nelle zone dove sono attivi, un bambino molestato può chiamare e chiedere aiuto, giorno o notte, potendo contare su un intervento immediato di alcuni bikers.
Un’associazione, diffusa a livello mondiale, coordina centinaia di Chapter di Bikers in questa lotta alla pedofilia: I BACA ovvero Bikers Against Child Abuse, sono presenti e attivi anche in Italia.
Un altro metodo è quello di presenziare in gruppo ai processi ai pedofili per verificare se le sentenze sono adeguate al crimine commesso.
Anche quando i molestatori vengono rilasciati la sorveglianza dei bikers continua con passaggi periodici intono alle abitazioni dei colpevoli. Si può facilmente immaginare quale effetto dissuasivo possono avere queste tattiche.
Fatti non parole
In una epoca in cui all’ ONU si comincia a parlare dei pedofili come di una minoranza sessuale discriminata che andrebbe tutelata, le attività dei bikers coinvolti va in senso diametralmente opposto.
A dimostrazione plastica che, se si vuole, qualcosa di pratico si può sempre fare e dei risultati si possono sempre ottenere, anche nell’ epoca più corrotta e difficile.
Un monito concreto per nemici dei nostri figli ma anche un rimprovero implicito per tutti quelli che si lamentano ma non agiscono in prima persona
Marzio Gozzoli

B,A,C,A

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