Orban, schiena dritta in una Unione di servi
Non si smentisce Viktor Orban, rimane fedele agli interessi del suo popolo e dell’Europa. Appena ricevuto l’incarico di Presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, se ne infischia allegramente dello scandolo che suscita tra gli eurocrati asserviti agli USA e osa speditamente l’imponderabile: va a parlare con il cattivo di turno, il nuovo male assoluto, Vladimir Putin.
Dopo essersi confrontato con Zelensky, si reca e a Mosca e incontra il presidente russo. Compie, cioè, un atto semplicemente ovvio, quando si ha veramente a cuore la fine di un conflitto: tenta un dialogo con i due contendenti.
Una risposta, se vogliamo, alla farsa del 15 e 16 giugno scorsi, quando a Bürgenstock in Svizzera si è tenuta una “conferenza di alto livello sulla pace in Ucraina” a cui hanno partecipato vari capi di Stato oltre a quello ucraino ma con l’esclusone della Russia. Qualcosa di grottesco.
La reazione dei vertici EU
Immediata la reazione isterica e scomposta del Gotha di Bruxelles. Dal capo della politica estera UE, Josep Borrel, al presidente del Consiglio europeo Charles Michel, all’immancabile Ursula Von der Leyen, è stata tutta una presa di distanza, un tentativo di delegittimazione, uno specificare che Orban non ha avuto alcun mandato per rappresentare la UE in una trattativa con Putin, che al massimo la visita a Mosca può essere intesa come quella del presidente dell’Ungheria e non come quella di un alto rappresentate dell’Unione blustellata.
Addirittura surreale la reazione dei co-presidenti dei Verdi Ue, Terry Reintke e Bas Eickhout in una lettera rivolta a Charles Michel :” La visita del premier ungherese a Mosca rappresenta una chiara violazione del principio di leale cooperazione sancito dal trattato dell’Ue e danneggia gravemente la reputazione dell’Unione. Vi chiediamo di utilizzare tutti gli strumenti a vostra disposizione per impedire che ciò accada”.
Perfetta, nella sua limpida sintesi, la posizione dell’ungherese: “Non è possibile arrivare alla pace stando comodamente seduti in poltrona a Bruxelles”.
Un sacrilegio
È evidente che l’iniziativa di Orban ha letteralmente il sapore di un sacrilegio rispetto ad una politica bellicista a dir poco miope, che da oltre due anni viene perseguita dall’Occidente a guida statunitense.
L’obiettivo di Washington e dei suoi vassalli europei, evidentemente, non è la pace, ma il protrarsi del conflitto, nella speranza di un crollo di Mosca, che appare ogni giorno più irrealizzabile.
Nonostante pacchetti su pacchetti di sanzioni, l’economia russa, infatti, è quanto mai florida e, malgrado i fiumi di armamenti occidentali inviati a Kiev, l’esercito ucraino è in crescente difficoltà.
Orban non ha mai creduto alla contrapposizione frontale come soluzione del conflitto e non ha mai inviato armi a Zelensky. Al contrario, i vertici di Bruxelles hanno continuato sulla strada dello scontro ad oltranza.
Altri cominciano ad aprire gli occhi. Marine Lepen – contrariamente a Macron – , a due giorni dei ballottaggi, ha dichiarato che, in caso di vittoria del Rassemblement National non saranno inviati soldati francesi in Ucraina e non verranno impiegate armi a lungo raggio francesi per colpire obiettivi in Russia.
La visita di Orban ha avuto immediati effetti concreti per un cessate il fuoco? No, e sarebbe stato assurdo pretenderli dopo oltre due anni di guerra. Ma almeno è stato un primo passo in controtendenza, una dimostrazione del fatto che esiste la via diplomatica. Lunga, tortuosa ma possibile.
Del fatto che c’è un Europa che vuole la pace e il bene degli europei, senza chiedere permessi a Washington.
Raffaele Amato
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