La violenza è l’assenza dell’alternativa. Passeggiando senza meta e senza l’assillo di rincorrere il tempo che fugge, concedendosi a sé stessi, gli occhi si posano sopra i muri della città: sono centinaia le frasi, le “poesie” e a volte i dialoghi buffi, intrisi di una vena filosofica, nati da mani ignote.
Tempo addietro, mentre costeggiavo l’istituto professionale Alfonso Rubbiani, sfogliando uno di quei muri, alla fine della parete della facciata capitò una mano pulita ed equilibrata che a metà altezza aveva scritto: «La violenza è l’assenza dell’alternativa». Una frase d’impatto, capace di frustare la mente; un’affermazione dal contenuto magnetico.
In questa circostanza fu curiosa la coincidenza tra quell’incontro a tu per tu con la violenza, quale alternativa di fronte all’assenza dell’alternativa, e la lettura de Il paradiso della crudeltà di Wolfgang Sofsky, sociologo tedesco che ha insegnato Sociologia presso l’Università di Göttingen.
Il paradiso della crudeltà
Il breve e agile saggio di Sofsky mette in mostra un vasto panorama di società umane che hanno fatto dell’esperienza con la violenza una convivenza reale e tangibile, a partire dalla dimensione del sacro, tipica della religione; società che hanno messo in scena un rituale della violenza, in modo da incanalarne la carica distruttiva, accettandone l’esistenza e assimilandola nel corpo della società stessa che la pratica.
Casi di studio interessanti e così sconcertanti, come i nugoli di uomini che uccidono e straziano altri uomini all’interno di un’aurea di terrore intrisa nella loro coscienze; una violenza crudele messa in moto dalle maschere che indossano e il cui potere magico si esaurisce quando ne sono privati, tanto da non comprendere la loro citazione in giudizio e le accuse di omicidio che gli vengono contestate in tribunale, dal momento che essi giustificano i loro macelli perpetrati proprio in virtù di quelle maschere che avevano indossato durante le stragi.
La natura umana
La violenza è connaturata alla natura umana, senza sé e senza ma, ed è vano ostinarsi nell’autoconvincimento che l’uomo non sia anche animale violento e vorace: la violenza gli appartiene; ci appartiene. Diversa è la questione di saperne incanalare le molteplici sfaccettature, il suo esplicarsi all’interno di quel contesto che è la società civile che pretende di soffocarla con ostinazione, nel vano tentativo di reprimerla come farebbe un folle, un senza ragione che si lancia sopra il coperchio di un contenitore straripante di oggetti e vi salta sopra nel cocciuto tentativo di chiuderlo.
Indubbiamente quel gesto sarebbe ripagato dal dato concreto di aver ‘forzato’ quel contenitore, ma prima o dopo le cerniere e la chiusura cederebbero sotto la spinta interna, l’involucro esploderebbe e il contenuto schizzerebbe fuori in ogni direzione: sarebbe il caos. Alla stessa stregua si comporta la violenza, come un torrente primordiale e ferino che scorre nelle nostre viscere, sbatte e schiumeggia contro le pareti delle cavità del corpo, e a noi spetta il compito di incanalarla, un fine che la società umana si prefigge da lungo tempo.
Le culture che hanno abitato e abitano il pianeta tentano di convogliare la sua impulsività, regolarla e “legalizzarla” mediante la ritualità delle celebrazioni sacre come il sacrificio.
L’epoca moderna
Nel nostro tempo è indubbiamente impensabile che una società civile, ammantata dal Verbo dei diritti, possa anche lontanamente dedicarsi al tema della violenza seguendo l’approccio alle pratiche delle antiche società umane quali furono i popoli delle Americhe o le più recenti società dell’Europa moderna, dove la pratica della pena capitale era ritualizzata anche al fine di concedere al popolo il suo “meritato” sfogo.
Oggi esistono gli svaghi, i passa tempo, la nostra quotidianità è fradicia di una costellazione spaziale di sfogatoi affinché le persone liberino l’accumulo di quest’energia, la cui forza cinetica risiede nei nostri corpi in uno stato di ebollizione. Tuttavia, l’errore che forse compie la nostra società moderna è la presunzione verbale di arrestarla, nel senso di prenderla per i polsi e ammanettarla alla stregua di gendarme; estirparla attraverso il discorso e il dibattito pubblico, secondo un’opera di convincimento sul piano intellettuale. Errore.
Quella scritta, la violenza come risposta all’assenza di alternativa, conferma quanto la violenza sia intrinseca alle membra, pronta ad emergere in mancanza di canali predisposti ad arginarne la furia rabbiosa; pronta a rivestire il ruolo di ‘risposta’ davanti a un fallimento reiterato, che ha esacerbato gli animi e reso instabile i rapporti all’interno delle dinamiche sociali; pronta a balzare sulla scena perché semplicemente infastidita dalla supposizione che la si possa stroncare e debellare dalla sfera umana.
Riccardo Giovannetti
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