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LA GRANDE TRANSIZIONE I

Roberto Pecchioli di Roberto Pecchioli
12/03/2025
in Notizia del giorno, Società
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Dal naturale all’artificiale, dal reale al virtuale 
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Dal naturale all’artificiale, dal reale al virtuale 

INTRODUZIONE

Sdegnosamente, getterò il mio guanto /In faccia al mondo/E vedrò crollare questo gigante pigmeo /la cui caduta non spegnerà il mio ardore./Poi come un Dio vittorioso andrò alla ventura /fra le rovine del mondo /e, dando alle mie parole potenza di azione, /mi sentirò uguale al Creatore .

Karl Marx, Menschenstolz (Orgoglio umano) 

Prometeo, il titano che rubò il segreto del fuoco agli dèi della mitologia greca, è il simbolo della contemporaneità occidentale. Nel Prometeo Incatenato di Eschilo, uno dei vertici della letteratura universale, il titano ribelle dichiara: “Insomma, io odio tutti gli dèi”. 1 Per primo affermava la rabbia di non essere il creatore di sé stesso. Detestava il limite, la caducità della condizione umana, il fatto stesso che gran parte della sua vita, di ciò che è,  non sia una sua scelta individuale.

Prometeo odia essere stato scaraventato nel mondo nudo e inconsapevole. Martin Heidegger, il massimo pensatore del Novecento, la chiamò “gettatezza” ( geworfenheit) . Il Prometeo contemporaneo è irritato dall’idea che il suo bagaglio biologico derivi dalla natura e dai genitori; odia non poter scegliere ed eventualmente revocare ( i tempi sono liquidi, le identità fluide, i cervelli gassosi) il proprio aspetto, nome, sesso, anzi genere. Non sopporta di essere al mondo per scelta altrui, di quei genitori dai quali riceve geni, tratti somatici, luogo di nascita, cultura di appartenenza, lingua, buona parte dei gusti e delle propensioni. 

Si nasce in un tempo, in uno spazio, in un corpo, di cui Prometeo si sente prigioniero. Odia la realtà perché non l’ha scelta: ecco il nuovo peccato originale. Il complesso di Adamo, infastidito di essere creatura e non creatore. Come lui, ha ricevuto dei limiti a cui si è ribellato. Prometeo ha rubato il fuoco agli dèi, scoprendo che brucia. Il titano individua la soluzione nella sfida a Zeus: sottraendogli il fuoco, inaugura l’età della tecnica.

L’uomo è essenzialmente un essere tecnico, ossia capace di modificare se stesso e il mondo attraverso il fare, l’agire che trasforma. Techne significa capacità, perizia, saper fare, e la tecnica è l’insieme delle norme applicate in un’attività, intellettuale o manuale. In astratto, è un mezzo e non ha un fine: conta solamente che adempia la funzione che le è assegnata. In questo senso, la tecnica è- o dovrebbe essere – l’ancella della scienza, cioè della conoscenza e della sapienza, e la stampella della tecnologia, che applica a fini pratici le acquisizioni scientifiche. Oggi, al contrario, è la tecnica ad avere il ruolo predominante.

Il mezzo diventa fine nel grande processo di cambiamento impresso dall’uomo al mondo della vita. Con la tecnica il pensiero si fa aggressivo perché rende ogni presenza, incluso l’uomo, un oggetto da manipolare, ogni ente uno strumento da valorizzare e impiegare.  Secondo Heidegger, l’agire tecnico è l’ultimo gradino del progetto di dominio sulla natura e del suo sfruttamento che ha reso il bosco una riserva di legname, la montagna una cava di pietra,  il fiume una forza idraulica per produrre elettricità. E l’uomo un materiale da lavoro, il suo corpo morto un magazzino di pezzi da impiegare, i feti abortiti materie prime per l’industria cosmetica e farmaceutica. 

Il Prometeo contemporaneo, preso il controllo del fuoco (la tecnica) , diventa creatore, ri-creatore , spodestando la divinità ma anche rifiutando ogni barriera, confine, limitazione, materiale, etica, spirituale al suo agire “tecnico”. Scrisse il filosofo Dario Antiseri: “la tecnica non è la figlia stupida della scienza. La ricerca trova nella tecnica strumenti di controllo delle teorie prodotte. Il tecnico è colui che sa e spesso sa anche come. “2 Non siamo d’accordo: la tecnica si occupa di “come” senza riguardo ai perché, al giudizio morale su ciò che fa. Si esenta dalla responsabilità, dall’autocritica, dalla valutazione delle conseguenze, non obbedendo ad altro che a sé stessa. Incarna al massimo grado la volontà di potenza3, procede e basta, incurante di tutto.

Diventa l’unica guida dell’uomo prometeico, o con il lessico di Oswald Spengler, faustiano, assetato di nuove scoperte. 4 Ciò che è tecnicamente possibile si compie, deve essere fatto, entrando nell’agenda di un’umanità che si sporge oltre sé stessa. O meglio, nell’ agenda di un’oligarchia, la classe dominante che si è liberata di ogni vincolo, remora, scrupolo, e lavora instancabile a modificare, ri-fare, ri-creare il mondo e l’essere umano. Per sete di dominio, per febbrile desiderio di andare oltre, per sostituirsi a Dio, o all’evoluzione, o al Caso. Il presente rinnova il mito antico dell’instancabile officina di Vulcano, il dio del fuoco, delle fucine, dell’ingegneria, della scultura e della metallurgia.

Non è per caso che il nostro tempo non sa riferirsi a sé stesso se non come postmodernità. Non si considera che un’epoca di transizione, postera ma non figlia di chi venne prima, decisa a trascendere tutto ciò che era, correggere le imperfezioni del creato. L’antico sogno gnostico5 inverato dalla Tecnica.  La postmodernità è popolata da giganti che devono liberarsi dai nani – gli uomini di ieri, le loro idee anguste, la loro visione del mondo limitata- per approdare a un’era di titani, per mezzo di varie, rapidissime, travolgenti transizioni. Transizione significa viaggio, transito, un ponte sospeso tra un prima e un dopo.

Non siamo più ciò che siamo stati per millenni, non siamo ancora ciò che il Dominio, attraverso Techne, vuol fare di noi, la vecchia, obsoleta umanità.  Non sappiamo ciò che saremo alla fine del tragitto: il traguardo non è previsto, continuamente spostato come la linea dell’orizzonte per chi viaggia . Sappiamo soltanto di essere viandanti obbligati in una corsa a perdifiato alle cui conseguenze non dobbiamo pensare. È vivamente sconsigliato il giudizio di merito ed è vietato volgersi indietro.

Ancora il mito: Orfeo può salvare l’amata Euridice dal mondo dei morti solo se non si volta indietro. L’uomo contemporaneo corre. Non si ferma mai, non prende fiato, non ha una meta, non conosce limiti, né, in fondo, ha altro obiettivo che la corsa. Ha creduto nel mito del progresso lineare: più di ieri, meno di domani, come le promesse d’amore d’ altri tempi. Nel mondo liquido, affrettarsi è insieme mezzo e fine. Un intellettuale francese, Paul Virilio,6 definì questo modo di essere dromocrazia, il potere della velocità, che nella lingua delle tecnologie digitali si chiama tempo reale, l’immediatezza programmatica che diventa insofferenza, incapacità di attendere, tempo che rotola su se stesso. Un gatto che si morde la coda e, come in una vecchia canzone, “non sa che la coda è sua”. 

Uno degli imperativi della corsa è non guardare mai indietro. Ovvio, se tutto ciò che è passato è “meno” rispetto al “più “successivo. Strano che non ci si interroghi mai su un progresso avvitato su se stesso, concentrato nella corsa, che diventa istantaneamente passato. Ne fece il ritratto il poeta Antonio Machado: “Viandante, sono le tue orme /il cammino, e niente più/ viandante, non c’è cammino/ la via si fa andando. / Andando si fa il cammino/ e nel rivolgere indietro lo sguardo / si vede il sentiero che mai /si tornerà a calpestare. / Viandante, non c’è cammino/ solo scie nel mare. “7 Un manifesto suggestivo, scintillante ma terribile, del nichilismo attivo.  

Jean Claude Michéa 8, pensatore francese, ha definito complesso di Orfeo l’incedere senza guardarsi indietro delle ideologie e delle culture dominanti. La corsa crea scie momentanee, increspature del mare presto inghiottite dall’onda successiva, cancella la memoria, oblitera il ricordo, lascia in balia di un eterno presente. Orfeo gira il capo e condanna Euridice. Il suo destino è il dolore, il senso di colpa.

L’Orfeo postmoderno, al contrario, non si volta e non prova alcun rimorso. Indifferente al passato, ha la convinzione quasi religiosa (tutte le ideologie sono, alla fine, teologie secolarizzate) che oggi sia sempre meglio di ieri, che il progresso – parola magica, caricata di un fascino esoterico- sia una marcia verso l’alto e verso il meglio. Perché voltarsi, dunque? Nel tempo liquido, poi, che cos’è Euridice, se non il retaggio di epoche in cui anche i sentimenti erano per sempre, non soggetti al progresso, ossia al cambiamento, per natura infedele? 

Le tradizioni devono essere interrotte (tradizione uguale trasmissione), i principi ricevuti, i valori che ne scaturiscono vanno messi da parte, dimenticati senza volgersi indietro perché la storia ha un’unica direzione, avanti. La domanda che sorge, al tempo in cui scienza e tecnica sembrano fornire tutte le risposte a un’umanità che non pone più domande, è: siamo proprio sicuri di essere in viaggio verso il meglio, in transito verso un concreto paradiso in terra? 

Il treno del progresso corre con moto accelerato verso un precipizio, ma non importa. Mai voltarsi, avanti come l’automobile di Thelma e Louise 9 lanciata nel burrone. La velocità impedisce di pensare, concentrata su sé stessa. Poche sono le voci che invitano a una salutare lentezza, alla riflessione, a prendere fiato. Una apparteneva al filosofo Franco Cassano 10, il cantore del “pensiero meridiano” del sud del mondo che approfitta della calura di mezzogiorno per meditare, chiudere le imposte e vivere il tempo della sosta e del giudizio pacato, della valutazione dell’esistente.

Orfeo è individualista, estraneo alla dimensione conviviale tematizzata da Ivan Illich. “La società che ne risulta, recisa dall’intenzione personale, ci appare come una danza della morte, uno spettacolo d’ombre generatrici di carenza “. 11 O di luci psichedeliche che alterano la sfera percettiva e lo stato di coscienza. Quelle luci artificiali segnano il cammino, la transizione al termine della quale il mondo e l’umanità sarà – e in buona parte già è- altro da sé. Il transito, il passaggio, si compone di varie tappe ed ha più aspetti. 

Le transizioni sono molte, tutte estremamente pericolose per la specie umana. Ne abbiamo individuato diverse: quattro riguardano la nostra condizione, per così dire, pratica, ovvero il cambiamento totale della quotidianità Sono la transizione sessuale (a nostro avviso il passaggio decisivo) quella climatico-ambientale, quella digitale e infine la transizione alimentare. Ma ne esistono altre due che attraversano, contengono tutte le altre, stravolgendo completamente il ruolo, la percezione di sé e del mondo dell’homo sapiens: la transizione/sostituzione dal reale al virtuale, dal naturale all’artificiale.

Persino le parole diventano da positive a negative e viceversa: artificiale è uno dei termini più usati in senso positivo, natura e naturale sembrano confinate nel passato, bagagli di un passato da superare senza ripensamenti. Tutte insieme, queste tappe (o stazioni di una Via Crucis?) compongono il mosaico di un viaggio obbligato– il Dominio non ci ha chiesto alcun consenso, siamo cavie o greggi- verso un Altrove ancora indistinto.

Di certo, corriamo verso il superamento dell’uomo; il transumanesimo è un cammino il cui approdo è il post umanesimo.  Così riflettevamo nell’Uomo transumano: “siamo in un periodo decisivo. La biopolitica, fattasi biocrazia, può arrivare a controllare e dominare la nostra vita, i nostri pensieri, i nostri corpi. Chi e come stabilirà che cosa introdurre nel nostro organismo per ridisegnarlo, modificarlo, ibridarlo con la macchina? Che ne sarà del nostro cervello? Come vivremo, che cosa mangeremo? Diventeremo OGM umani, organismi geneticamente modificati. Che cosa significheranno parole come uomo, persona, mente, libertà?” 12 

Ogni transizione viene presentata come un traguardo di civiltà; il mondo nuovo è sempre smart, furbo, nella narrativa imposta dal Dominio. Ovvio: se lo chiamassero campo di concentramento, nessuno vorrebbe viverci. Dietro le altisonanti terminologie si nasconde la volontà di controllare, soggiogare la popolazione mondiale ridotta a gregge o materiale umano.

Impera il paradigma della sorveglianza, del controllo, la trasformazione dell’uomo da soggetto a oggetto, dominato dai padroni della tecnica, derubricato a propaggine degli apparati artificiali; sostituito dai robot, ibridato con gli artefatti prodotti dalla tecnica, eterodiretto da macchine ( l’Intelligenza Artificiale è un esempio) ; costretto ad alimentarsi di cibo altrettanto artificiale, a cambiare ogni consuetudine, abitudine, modo di vivere naturale in nome dell’impostura green e della riduzione dell’umanità a cifra (digit);  invitato a credere che finanche la sua identità sessuale sia un costrutto culturale e non un dato biologico.

Il nuovo ordine digitale assomiglia sempre più a una prigione, una megamacchina tecnoscientifica di cui l’essere umano è un ingranaggio fungibile. Le transizioni che affrontiamo cambiando pelle come serpenti – e non pochi ne sono inconsapevoli- appaiono come un percorso già segnato, organizzato, a cui non si sfugge, un destino falsamente eudemonistico che ha in realtà il volto del totalitarismo.  

Di nuovo conio, certo, capace di imporre un’articolata agenda tecnocratica legata al mito del progresso, imposta in forme soavi, amabili, euforizzanti, perfino liberatorie, sicché ogni forma di resistenza è annullata, ridotta all’insignificanza. Anche nell’organizzare le masse verso le transizioni – l’Uomo 2.0, trapasso al postumano- il totalitarismo dolce (soft power) determina un ethos collettivo progressista, poiché progressista è il concetto di natura umana che diffonde, mobile, malleabile, infinitamente plastica. Il migliore dei mondi possibili perché plasmato da noi, non da un Dio capriccioso, da un’evoluzione troppo lenta o da una casualità insensata. Un ethos imposto come verità incontrovertibile, una sorta di “stato di natura” che definisce bene e male, giusto e ingiusto. Tutti- entusiasti o reticenti- devono integrarsi in un processo inevitabile di uniformazione e conformismo sociale volto alla trasformazione antropologica e poi esistenziale ed ontologica. Un’insidiosa ingegneria sociale: la disciplina delle transizioni. 

Per funzionare, l’operazione in corso ha avuto bisogno di un’ulteriore transizione, che ha trasformato l’homooccidentalis in una creatura conformista nella singolare forma edonistico- individualista, immatura, attratta dalle novità come i bambini da un nuovo giocattolo. Al viandante in transito è stato sottratto dalla scuola, dalla comunicazione, dal chiacchiericcio mediatico il pensiero meditante, sostituito dal baccano diversamente uguale della bolla globalista.

La cornice-essenziale per la riuscita del progetto (reset e riconfigurazione) fu intuita con sorprendente lungimiranza nel secolo XIX da Aléxis de Tocqueville, allorché immaginò l’esito finale delle società di massa. Non poteva conoscere l’egemonia della tecnica e la volontà di potenza di chi la possiede, ma previde l’essenziale.   “Al di sopra di costoro [ i cittadini N.d.A.] si erge un potere immenso e tutelare, che si incarica di assicurare loro il godimento dei beni e di vegliare sulla loro sorte. È assoluto, minuzioso, previdente e mite.

Assomiglierebbe all’autorità paterna se, come questa, avesse lo scopo di preparare l’uomo all’età virile, mentre non cerca che di arrestarlo irrevocabilmente all’infanzia; è contento che i cittadini si svaghino, purché non pensino che a svagarsi. Lavora volentieri alla loro felicità, ma vuole esserne il solo agente ed il solo arbitro; provvede alla loro sicurezza, prevede e garantisce i loro bisogni, facilita i loro piaceri, guida i loro affari principali, dirige la loro industria, regola le loro successioni, spartisce le loro eredità; perché non dovrebbe levare loro totalmente il fastidio di pensare e la fatica di vivere?” 13 Qualcuno osservò che le pecore trascorrono la vita nella paura del lupo, ma che è il pastore a condurle al mattatoio. Transizioni antiumane che danno i brividi. 

(segue….) 

Roberto Pecchioli

NOTE ALL’INTRODUZIONE

1.Prometeo Incatenato è una delle più famose tragedie greche, scritta da Eschilo (525-456 a.C.). Rappresentava la prima parte di una trilogia dedicata a Prometeo. Le altre due tragedie non sono giunte nfino a noi. 

2. Dario Antiseri, in Il Riformista 27 febbraio 2009, p.19

3. Volontà di potenza ( wille zur Maxcht) è un concetto introdotto da Friedrich Nietzsche in Così parlò Zarathustra. Esprime l’idea di una volontà tesa all’accrescimento e all’incessante desiderio. 

4.Il personaggio di Faust, ricorrente nella letteratura tedesca, reso eterno dl poema omonimo di J.W. Goethe, rappresenta l’uomo eternamente insoddisfatto, impegnato a superare ogni limite di conoscenza ed esperienza. 

5.Gnosi significa conoscenza. Il termine designa diverse correnti di pensiero spirituale esoterico. Nel testo, il riferimento è a un filone culturale in cui gli iniziati si ritengono possessori di conoscenze oscure, capaci di rettificare le imperfezioni della creazione.

6.Paul Virilio ( 1932-2018) scrittore, filosofo e urbanista francese, studioso delle conseguenze della tecnologia. Velocità e politica. Saggio di dromologia (1981).

7. Viandante è una lirica del 1912 dello spagnolo Antonio Machado (1875-1939)

8. Jean Claude Michéa ( 1950- ) filosofo e sociologo francese .Il complesso di Orfeo (2014)

9.Thelma e Louise è un film statunitense del 1991, diretto da Ridley Scott e interpretato da Geena Davis e Susan Sarandon.

10. Franco Cassano ( 1943-2021) sociologo e docente italiano. Il pensiero meridiano (1996)

11.Ivan Illich ( 1926-2002) scrittore e sacerdote di origine croata.  Il brano citato è tratto da Convivialità , Arnoldo Mondadori Ed. (1974)

12.Roberto Pecchioli, L’uomo transumano, Arianna Editrice, 2023. Op.cit.

13. A. Tocqueville, La democrazia in America (1835). Ed. italiana Rizzoli , 1999. Op.cit. 

Tags: EuropaFaustIA intelligenza artificialeMitoOccidentePoliticasocietàtransizionetransumanesimo
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