Sembra che a Bruxelles abbiano un’idea ben precisa di cosa sia il “progresso”: una bella moneta unica, con la faccia di una signora elegante che non si sa bene chi sia, e via, tutti felici e contenti. Peccato che a Sofia, e in oltre cento altre città bulgare, l’entusiasmo per questa visione idilliaca sia pari a quello per una dieta a base di cavoletti di Bruxelles.
Migliaia di bulgari, con un’ostinazione degna di miglior causa (o forse no?), sono scesi in piazza per difendere il loro amato lev. Non è solo una questione di spiccioli, sia chiaro. È una questione di indipendenza economica, di non voler diventare il nuovo laboratorio per esperimenti sociali ed economici che, diciamocelo, non sempre vanno a buon fine. Hanno visto cosa è successo in Croazia, dove l’euro è arrivato portandosi dietro un carrello pieno di prezzi che hanno fatto impallidire i portafogli. E i bulgari, da buoni osservatori, si sono detti: “No grazie, abbiamo già il nostro carrello, e ci stiamo bene così”.
La protesta non è una cosa da poco. Il partito Vazrazhdane*, che con un nome così evocativo si capisce subito che non sta lì a pettinare le bambole, ha raccolto 600.000 firme per un referendum. Un plebiscito verrebbe da dire.
Ma il Parlamento bulgaro, con una mossa che definire “democratica” sarebbe un eufemismo, ha pensato bene di buttarla in caciara, respingendo la richiesta.
Praticamente hanno detto: “Cari cittadini, la vostra opinione è molto importante per noi… ma non abbastanza da farci perdere tempo”. Che poi, il presidente Rumen Radev ha rettificato, schierandosi dalla parte del popolo. Ma a quanto pare, quando si tratta di Euro, la democrazia è un optional inutilizzato.
E non parliamo della definizione di “cleptocrazia” attribuita all’UE dai manifestanti. Diciamo che non è proprio un complimento. Ma quando si ha la sensazione che le decisioni vengano prese sopra la tua testa, senza consultarti, e che il rischio sia un aumento dei prezzi che le autorità non sanno nemmeno come controllare, l’umore tende a non essere proprio idilliaco. In fondo, la Bulgaria è il Paese più povero dell’Unione, con un bel 30% della popolazione a rischio di esclusione sociale. Magari, prima di cambiare valuta, si potrebbe pensare a risolvere qualche problemino più… tangibile.
Insomma, mentre a Bruxelles si aspettano la “relazione straordinaria sulla convergenza” con l’acquolina in bocca, a Sofia la gente continua a urlare: “Manteniamo il nostro lev!”. Perché, alla fine, chi vuole davvero diventare un burattino che balla al ritmo di una moneta che, per loro, sa tanto di un conto salato?
Forse, per una volta, sarebbe il caso di ascoltare il popolo, prima di imporre un futuro che non tutti desiderano.
Redazione
*Resurrezione
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